che i principi son pronti,
Dall'Egitto in Assiria (Le guardie si ritirano indietro)
Che ascolto! È teco Idreno?
ch'io seco andai, nel Nilo
Qual fu poi la tua sorte?
Finché il monarca assiro,
ch'io di te prendo, all'ombra
Vengano. Al fianco mio, (Una guardia va sul ponte e accenna che vengano)
L'Egitto è il regno mio...
Del Caucaso natio (A Semiramide)
Ircano, a quel ch'io veggio,
Parli il prence d'Egitto.
non è il tuo merto ascoso.
Or narra i pregi tuoi. (Ad Ircano)
Quei pianti, quei sospiri
Or siedi, Ircano. (Ircano va a sedere)
Tu impallidisci, amico! (A Scitalce)
Nino, tu avvampi in volto!
Io... (Che dirò?) Se venni...
(Son fuor di me). (Come sopra)
No; principi, v'attendo (Semiramide s’alza e seco tutti)
Che vidi! Che ascoltai! (Fra sé)
Ma non l'uccisi io stesso?
Sprezzi o brami i miei lacci?
Più che ad ogni altro spiace
È ver, ma il tuo sembiante
il girar de' suoi sguardi
il cor che al noto aspetto
No, che bambino ei crebbe
Ma non scoprir che Idreno
piacciati, o principessa,
Signor, nel tuo sembiante
che sotto un'altra spoglia
Ah menzognera, ah ingrata,
Se presente al tuo sguardo,
siccome è al tuo pensiero,
(Questo di più! L'ingrata
adoro il suo sembiante...
più non cercar. Ti basti (Come sopra)
Lo sia. Qual cura io prendo
e non parlo e non taccio;
Principi, i vostri affetti (Vedendo Ircano e Mirteo)
qualunque usar mi piaccia
Ministri, al re sia noto (Parte una guardia)
che mai scoprir non possa
la sua voce, il mio scritto
scompone il mio disegno!)
Alla sua sposa in braccio
Mi fiderò ma poi... (Ripone la spada)
fiammeggia oltre il costume
Come mai del tuo fato (A Scitalce)
Compito è il cenno. (Sibari posa la sottocoppa con la tazza avanti a Semiramide e va a lato d’Ircano)
(E deggio in faccia a lei
Egli è dubbioso ancora. (A Semiramide)
Porgi a più degno oggetto
che al regno ti destina? (A Scitalce)
Qual cura hai tu, se accetta
o se rifiuta il dono? (Ad Ircano)
non me, sé stesso offende
Troppo il rispetto offendi
Vada la tazza a terra. (Getta la tazza)
Dunque ridotta io sono (S’alza e seco tutti)
(Il mio bene è in periglio
Vengo e di tanto orgoglio
Ch'io ceda il brando mio?
qual core in seno ascondi.
perché il mio cor non vedi.
Prence, che rechi? È vinto (A Mirteo)
questa vendetta? Io voglio
sempre m'agita il petto...
prima ch'affatto ei mora,
oh qual pietade ho intesa!
Mi perdoni! E qual fallo?
Che sento! E chi t'indusse
se v'è giustizia in cielo,
Ah se il mio labbro mente,
Invero è un grand'inganno
a uno straniero in braccio
Io priego, egli m'insulta;
Traditori, al mio sdegno (Di dentro)
a difender Tamiri (Sibari, veduto Mirteo, lascia l’attacco)
distrugga il ferro, il fuoco
Scoglio avvezzo agli oltraggi
ch'io primiero ascoltassi
Ah prendi in questo amplesso
ch'ei palesi il mio foglio;
ma il rimorso a che giova?
S'ella i suoi torti obblia
Quand'è l'ingiuria atroce,
Che vuol dir quello sdegno?
io non trovo al periglio.
in gran periglio; io temo
s'altro a dir non ti resta.
Meglio si spieghi il labbro
Ma che vuoi ch'io risponda?
t'offro il talamo, il trono.
E ancor con tanto orgoglio...
Io non m'inganno, è questo
s'io ti credessi appieno,
di qualche ardor primiero
la tua destra non stringo.
Mirteo, per quanto io tardi,
troppo sempre a tuo danno
No no; già tutto è in pace. (A Mirteo)
Tu quella destra, audace,
Principi, il cor guerriero
Mirteo, Scitalce, oh dio!
Tu mi tradisci, (A Sibari)
perch'ei rimanga oppresso.
No; pria si chiami autore
Sorgi e t'assolva (Porge la mano a Scitalce)