Metrica: interrogazione
286 settenari (recitativo) in Olimpiade H 
Ho risoluto, Aminta;
Deh modera una volta
questo tuo violento
Megacle m'abbandona
non è quel che divide
Elide, in cui noi siamo,
agli olimpici giuochi
Sai pur che ognun che aspiri
giurar di non valersi
ch'escluso è dalla pugna
chi quest'atto solenne
per lung'uso son tutti
del giovanile ardire
                        Ed Argene
finché l'ora trascorra,
               Vedi che giunge...
                      Prence.
                                      Amico.
che il ciel m'offra una volta
nell'olimpico agone
che de' rivali atleti
Oh generoso amico!
prima che il sol tramonti,
Oh sei pure importuno
con questo tuo noioso
chi presta fede intera
Già il rozzo mio soggiorno
Ah fuggir da me stessa
tu non sai qual funesto
qual può l'età futura
nell'olimpico agone
men funesta materia
gl'interrotti lavori (Siede Aristea)
raddolcisci, se puoi,
                      De' miei mali
Licida il regio erede
tanto in breve si stese
freme Licida e pensa
in custodito albergo
che a straniero consorte
che la fuga o la morte
ma serbo al caro bene
cercar contrade ignote,
Nel giungervi fu colto
Ma ti ricordi ancora
oltre il dover, gli sguardi
                   Il vero. A lui,
perché nato in Atene
conoscerlo, vederlo,
Inver sembrano i nostri
Ma non vorrà.
                            Che nuoce,
senza offesa de' numi,
Ragion d'esser superba
V'è Olinto di Megara,
che soffrire abbastanza
del mio Megacle amato,
Dunque Licida ingrato
Imparate, imparate,
giura che a voi pensando
par che sugli occhi vostri
in premio al vincitore
stimoli non fa d'uopo
non è per la mia fronte
Anelo, anzi mi sembra
Oh dolce amico! Oh cara (Abbracciandolo)
E per lei si combatte?
                Questa degg'io
conquistarti pugnando?
che ad Aristea m'annodi,
pronubo accompagnarmi
nel caso in cui mi vedo,
Senti, amico. Io mi fingo
il mio dover comprendo;
E chi mai ti ritenne
rigide a questo segno
solo in pensarlo e parmi
istupidir, gelarmi,
Megacle! Mia speranza!
e sospirato e pianto
Oh felici martiri!
e tu nulla rispondi?
Sempre... sappi... Son io...
dunque sei così mesto?
Intendo; alcun ti fece
il tuo nome fra' labbri,
Ma guardami, ma parla,
Dunque allor non son io,
Ed ancor della pugna
Megacle, la palestra,
doppiamente nell'alma
                            Oh come io tremo,
È deciso il mio fato;
consolane. Che rechi?
Oh te felice! Oh quale (Ad Aristea)
nel gran tempio adunata...
Ah dimmi, o principessa,
Ah non ti faccia amore
E trovar non poss'io
tu in Elide! Tu sola!
a secondar del prence
Basta... Chi sa; nel cielo
vuo' che la Grecia, il mondo
l'abborrisca, l'eviti
Non son questi pensieri
il racquistarlo amante
che cento volte e cento...
Dolce è il mirar dal lido
Ma che! L'età canuta
Giovane valoroso,
quell'onorata fronte
Felice il re di Creta
serbato il mio Filinto, (Ad Alcandro)
(È ver). Premio Aristea (A Megacle)
che con lui non divido,
pria d'ogni altro io vorrei
Partirò, se il concedi,
questi, della mia sposa (Presentando Licida)
sì concordi i voleri,
di condurti la sposa
(Ma se Licida vinse,
Non lo ravvisi al volto
che son di chi trionfa
l'ornamento primiero?
            Intendo. Intempestiva
incomodi compagni
(Fra l'amico e l'amante,
Sposo, alla tua consorte
L'amor mio, caro amico, (A Megacle come sopra)
potrò senza ritegni
mia speme, mio diletto,
questi soavi nomi
Odi. In me non dicesti
se infedele agli amici,
ch'io figurar mi possa
che per legge fatale,
               Tutto l'arcano
Sì, per serbarmi sempre
vivo di lui nel seno;
non congiurar tu ancora
di quei teneri sensi
Questo (morir mi sento)
Sento che il mio valore
meno ne son capace.
per non tornar più mai. (In atto di partire)
Senti. Ah no... Dove vai?
A spirar, mio tesoro,
Misero me, che veggo! (Rivolgendosi indietro)
Che fu? (A Megacle)
                  Doglia improvvisa
                 Ma già quell'alma
l'umanità, la fede,
incenerir non sanno,
ecco Licida...
                          Oh dei!
A me barbaro! Oh numi!
Non sogni no; son io
riconosci quel volto
in sorte sì funesta
(Donde viene, in qual punto
saprà da me Clistene
Non sdegnarti; perdona
di tua bontà non sono
In angustia più fiera
se parla Argene. È forza
e consiglio e conforto
Che dici, Aminta!
                                   Io dico
                      Volesse
un gemito improvviso
uom che sul nudo acciaro
fo d'una man sostegno;
Megacle ravvisai,
bramar ti fa la morte!»
ho vissuto abbastanza»
sospirando mi disse
Ah qual orrida scena
che albergò sì bell'alma,
tutte sopra il mio capo
a ricalcar su l'orme
tu che audace interrompi
se in Elide ti lascia,
Con questo ferro, indegno, (Snuda la spada)
stracciarmi a brano a brano
tenerezza, amicizia,
anima lacerata
non so come si possa
piangere in mezzo all'ire,
pronta sempre la mano
Impedirmi la morte...
m'odi dunque e mi fuggi
che, per esserti unita
Vedi a qual segno è giunta,
Ma qual pietosa mano...
Oh sacrilego! Oh insano!
che ruina, che lutto,
venia fra' suoi custodi
Licida impetuoso
e dal ciglio, che tanto
di salvar l'infelice). (Parte)
sa che tu l'ingannasti;
Col mio principe insieme
non fa d'uopo di tanto.
Un sol de' guardi tuoi
Deh secondate, o numi,
Oh dio! Potessi almeno
lascialo in abbandono.
E pure a mio dispetto
Sarai debole, Argene,
Non sarà ver. Detesto
se mi cadesse accanto,
ah! forse adesso, Argene,
Ah no, povero prence! (Piange)
o non può compiacerla.
                       Il meschino
ne' custodi s'avvenne
chieder fra le catene
ancor ei delinquente,
nell'universo tutto
ed or potrei senz'esso
si vada incontro all'ira
me ancor ne' falli sui;
illesa altri la diede;
e renderla degg'io
Obbligo di chi regna
Pur se nulla ti resta
Padre, che ben di padre,
non merito perdono,
Afflisse i giorni miei
di tal modo la sorte
L'unico de' miei voti
è il riveder l'amico
l'ultima grazia imploro
T'appagherò. Custodi, (Alle guardie)
Alcandro, lo confesso,
un palpito improvviso
Fra tutti i miei pensieri
Ah! Vieni, illustre esempio
una vita che invano
agli ultimi momenti,
Sia preghiera o comando,
Deh tu l'istoria amara
reggi, assisti, consola;
tu gli asciuga sul ciglio;
que' replicati amplessi,
Olà, sacri ministri,
dall'amico infelice
onnipotente Giove
al cui cenno si move
la connessa catena,
questa, che a te si svena,
Fermati, o re. Fermate,
che ha valor, che ha desio
saper che al debil sesso
Ma il morir non si vieta
so che al tessalo Admeto
Che perciò? Sei tu forse
Licori, io che t'ascolto
una vil pastorella
                    Né vil son io
riconosci i tuoi doni,
che nel punto funesto
di giurarmi tua sposa
sposa a Licida e voglio
soccorrimi; non vuole
Parlino queste gemme, (Porge il monile a Clistene)
Alcandro riconosci
guarda; è ver che costei
              Quello a cui diede
                    Meco venne;
meco in Elide è giunto.
Ah, Licida... (Vuole abbracciarlo)
                         T'accheta.
già scorse il quinto lustro
in mar presso a Corinto
delle note sembianze
Al mar, come imponesti,
Costui straniero, ignoto
che in rimote contrade
Come! Non è di Creta
Oggi molti in un punto
Filinto il figlio mio,
la libertà de' falli
Che giustizia inumana!
Ah no, l'augusto sguardo
tornar sempre più chiaro
Errai; ma il mondo intero
Nasconderne la luce
Le lodi di chi regna
innamora, corregge,
chi, celebrando i pregi

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