Metrica: interrogazione
109 ottonari in Semiramide R1 
   Che quel cor, quel ciglio altero
senta amor, goda in mirarmi
non lo credo, non lo spero;
tu vuoi farmi insuperbir.
   O pretendi, allor che torni
ai selvaggi tuoi soggiorni,
rammentar così per gioco
l'amoroso mio martir. (Parte)
   Bel piacer saria d'un core
quel potere a suo talento,
quando amor gli dà tormento,
ritornare in libertà.
   Ma non lice e vuole amore
che a soffrir l'alma s'avvezzi
e che adori anche i disprezzi
d'una barbara beltà. (Parte)
   Ei d'amor quasi delira
e il tuo labbro lo condanna;
ei mi guarda e poi sospira
e tu vuoi che sia crudel?
   Ma sia fido, ingrato sia,
so che piace all'alma mia;
e se piace allor che inganna,
che sarà quando è fedel? (Parte)
   Rondinella, a cui rapita
fu la dolce sua compagna,
vola incerta, va smarrita
dalla selva alla campagna
e si lagna intorno al nido
dell'infido cacciator;
   chiare fonti, apriche rive
più non cerca, al dì s'invola,
sempre sola, e finché vive
si rammenta il primo amor.
   Il piacer, la gioia scenda,
fidi sposi, al vostro cor.
   Imeneo la face accenda,
la sua face accenda Amor.
   Fredda cura, atro sospetto
non vi turbi e non v'offenda
e d'intorno al regio letto
con purissimo splendor...
   Imeneo la face accenda,
la sua face accenda Amor.
   Sorga poi prole felice
che ne' pregi egual si renda
alla bella genitrice,
all'invitto genitor.
   Imeneo la face accenda,
la sua face accenda Amor.
   E se fia che amico nume
lunga età non vi contenda,
a scaldar le fredde piume,
a destarne il primo ardor...
   Imeneo la face accenda,
la sua face accenda Amor.
   Il pastor, se torna aprile,
non rammenta i giorni algenti;
dall'ovile all'ombre usate
riconduce i bianchi armenti
e l'avene abbandonate
fa di nuovo risonar.
   Il nocchier, placato il vento,
più non teme o si scolora;
ma contento in su la prora
va cantando in faccia al mar. (Parte)
   Tu sei lieto, io vivo in pene;
ma se nacqui sventurato,
che farò? Soffrir conviene
del destin la crudeltà.
   Voi godete; io del mio fato
vado a piangere il rigore.
Così tutta al vostro amore
lascierò la libertà. (Parte)
   Fiumicel, che s'ode appena
mormorar fra l'erbe e i fiori,
mai turbar non sa l'arena
e alle ninfe ed ai pastori
bell'oggetto è di piacer.
   Venticel, che appena scuote
picciol mirto o basso alloro,
mai non desta la tempesta;
ma cagione è di ristoro
allo stanco passeggier. (Parte)
   Passeggier che su la sponda
sta del naufrago naviglio
or al legno ed or all'onda
fissa il guardo e gira il ciglio;
teme il mar, teme l'arene;
vuol gittarsi e si trattiene
e risolversi non sa.
   Pur la vita e lo spavento
perde alfin nel mar turbato.
Quel momento fortunato
quando mai per me verrà?
   Quando un fallo è strada al regno,
non produce alcun rossore;
son del trono allo splendore
nomi vani onore e fé.
   Se accoppiar l'incauto ingegno
la virtù spera all'errore,
non adempie alcun disegno,
non è giusto e reo non è. (Parte)
   Viva lieta e sia regina
chi finor fu nostro re. (Semiramide si ripone in capo la corona)
   Donna illustre, il ciel destina
a te regni, imperi a te.
   Viva lieta e sia regina
chi finor fu nostro re.

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