Metrica: interrogazione
396 settenari (recitativo) in Catone in Utica P3 
Parla; al cor d'una figlia
la sventura maggiore
Ah se del tuo gran core
Figlia, amico, non sempre
la mestizia, il silenzio
si confondon sovente
Per lui più non s'adora
Da barbara ferita
d'Utica anguste mura
mal sicuro riparo
trova alla sua ruina
Cesare abbiamo a fronte
la speme che le avanza
Ma non viene a momenti
che abbandoni una volta
per deporlo in un punto.
Chi sa! Figlio è di Roma
che per domarla appieno
Tutta Roma non vinse
E se dal tuo consiglio
non sono i miei Numidi.
M'è noto e il più nascondi
a cui fuor che la sorte
Deh tu signor correggi
Nuovo legame aggiungi
di sposo a lei la mano,
Come! Allor che paventa
che a' nostri danni armato
Deggion le nozze, o figlia,
più al pubblico riposo
Con tal cambio di affetti
di nodo sì tenace
Felice me se approva
E tu signor vorrai
Come cangia la sorte
del mio paterno amore
or che romano sei
Poveri affetti miei
pietà, se non amore.
si spiegano i miei sguardi
Ma qual prova finora
E s'io chiedessi o prence
                     Già sai
sul mio onor ti assicuro,
Bramo che in questo giorno
il padre vi acconsenta,
Perché voler ch'io stesso
Forse i sospetti tuoi
Ma poi quegl'occhi amati
No, d'un romano in petto
Con cento squadre e cento
sicuro di tua fede
tanto Cesare onora
Di che temer potresti?
In cento boche intesi
della patria chiamarti
Ma l'acquisto maggiore
che da' privati sdegni
già mancano i cultori,
Chi vuol Catone amico
Il gelido Brittanno
per me le ignote ancora
Di tue famose imprese
So che il desio di regno,
troppo acerbo lo rende). (A Cesare)
Pende il mondo diviso
Se del sangue latino
Questo è dunque l'asilo
la sventurata accoglie
Ove son le promesse?
Ove la mia vendetta? (A Catone)
Così sveni il tiranno?
(In mezzo alle sventure
delle private offese
Qual utile, qual fede
colla funebre pompa
Ingiusta? E tu non sei
Io con quest'occhi io vidi
splender l'infame acciaro
Fra i barbari omicidi
Né v'era, il credo appena,
e sa il ciel, tu lo sai
Ma chi sa se piangesti
pensa Emilia che tutto
giacché ti fe' la sorte
un principio di calma.
T'inganni. Allorch'io taccio
Quanto da te diverso
Allorch'io servo a Roma
e s'io men di rispetto
Emilia m'innamora,
che la sventura mia
Mal si accordano insieme
                         Che pensi?
Penso che non dovresti
                               Io voglio
Cesare estinto. Or posso
men fida della mia.
Questo basta per ora.
perdona, o sposo amato.
Perdona; a vendicarmi
al primo nodo avvinti,
Giunse dunque a tentarti
amo più la mia gloria.
Infido a te mi finsi
prevenire i tumulti
qual piacer si ritrova
appena il credo e temo
E tu spargesti mai
hanno gli affetti miei
Così tu di pensiero
Cesare non vedesti?
Cesare non ravvisi?
Quello che tanto amasti,
quello a cui tu giurasti
della patria il sostegno,
l'onor del Campidoglio,
il terror de' nemici,
la delizia di Roma,
mi spinse a mio dispetto
Io semplice finora
Ma in avvenir l'affetto
vengo a chiedervi pace,
nel mondo che vincesti
Or m'ascolta e perdona
E se, lascia ch'io possa
nella scelta potrei
se divide il tuo core
Ti rassicura. Io penso
dall'opre mie vedrai
Mie perdute speranze
Chi sa. Gran parte ancora
               Al tempio, alle nozze
Vieni o principe, andiamo
No, già fumano l'are,
sarebbe ogni dimora.
Il più signor concedi
Fosse Marzia l'audace
qui si nasconde. Ei chiede...
tutto sopporto e pure...
E pur assai diverso
Riserba ad altro tempo
Si cangiò di pensiero
tutta costanza e fede,
è Cesare l'indegno
È Cesare incapace
Queste massime Emilia
Dimmi. Non prese l'armi
E a te, palesa il vero,
S'era Cesare il vinto
non è reo d'altro errore
che il tuo parlar lo dica.
Nelle nove diffese
Signor, già de' Numidi
Consiglio a me si chiede!
per quanto ho di più caro,
Il domandarti alfine
Ma dentro a queste mura
e Cesare, se il vede
E dovrà dilungarsi
Marzia sia con tua pace
a chi manchi, se vanno
mi porto in questo punto. (In atto di partire)
Vanne Fulvio, al suo campo
alla publica fede.
e due volte è deluso.
Non più. Da queste soglie
(Marzia perché sì mesta).
a così giusta brama
                       Perché tanto
Servi al publico voto...
Che ormai più non soggiorni.
così servo a un tal cenno.
                       È un foglio infame (Straccia il foglio)
che concepì, che scrisse
E il Senato romano...
dove ancor non è spento
A tanto eccesso arriva
se di romano il nome
degnamente conservo
Marzia posso una volta
Non aggiungermi affanni
             Ma fino a quando
di far quanto a te piace,
E acconsenti ch'io possa
pur che le tue querele
Chi a tolerar ti sforza
Perché non cerchi altrove
Contenderanno a gara
quell'eroe sì gran torto?
                       A tanto eccesso
È il Senato un vil gregge?
che al mio campo mi renda?
il veggo anch'io, ma il padre
(Numi, che ascolto!)
                                       Ormai
è l'animo ostinato.
Ma il popolo adunato,
fatti amici serbate
Eh che non è più tempo
               (Respiro).
                                    Or vanta
Ma se tanto s'avvanza
non so dirti a qual segno
Nol niego Emilia. È stolto
l'altrui genio guerriero
Ma spesso avvien che questi
siano illustri pretesti,
e alla speranza mia
la tua lusinga è vana
Tu vedi o bella Emilia
So però con qual zelo
porgesti il foglio e come
a favor del tiranno
E a chi fidar poss'io
D'un simulato amore
non ti dolere, o sposo,
ch'altra strada non resta
Si vuole ad onta mia
che Cesare si ascolti?
L'ascolterò. Ma in faccia
che da tutti costretto
Oh di quante speranze
arbitri della terra
e da voi pace o guerra
                       Or viene (Guardando dentro la scena)
Cesare, a me son troppo
perdergli in ascoltarti,
che il tuo cor generoso,
ad accettargli accinto
d'una ingiusta richiesta.
rendi in carcere angusto
non dubitar, che allora
con gli eventi felici
e di Cremera all'aque
Se allor giovò di questi
Meglio il voler d'un solo
Così parla un nemico
se meco in pace sei
diviso ancor fra noi
Troppo cieco ti rende
finor t'offersi e voglio
che il sangue d'un indegno
Hai cimentato assai
De' miei sudati acquisti
per cento offese e cento
Che vorresti? Che speri?
argine alla fortuna
Favorevoli agl'empi
colle nostr'armi altrove
                     Oh dio t'arresta.
Questa è la pace? (A Catone) È questa
costano i vostri sdegni
Chiedimi guerra o pace,
non sia tua cura. Emilia
d'uscir da queste mura
d'Iside al fonte appresso
a me noto è l'ingresso
offre asciutto il camino
Ma nel cimento estremo
Signor, so che a momenti
pugnar si deve, imponi
Temo Arbace ed ammiro
                               A Catone
Marzia ti rasserena.
Più non s'aspetti, a lei
il cor, la vita, il soglio
il differir le nozze
l'autorità d'un padre
i miei liberi affetti.
Ma già che sazio ancora
a un estremo periglio,
                        Il decoro...
                 Sì perdona
D'una perfida figlia
Ma che feci? Agl'altari
sopra i secoli tutti
o che rea non son io
Tu mi togliesti, il sai,
contro me congiurate.
giunge dunque in costei
Di colei che m'accende
E sempre più s'avanza
L'ingiustizia, il disprezzo,
mostri per lui d'ardire
Ferma, tu corri a morte.
                 Già su le porte
per incognita strada
                        Chi è questi?
Quanti aspetti la sorte
Fermati, dove fuggi?
vuol la mia morte. (Oh dio
Ahimè l'alma vacilla!
Chi sa che il fato rio
Dunque al desio d'onore
                           M'inganno (Nell’uscir si ferma)
qual ardir, qual disegno
              Del mio soggiorno
                           Se temi
t'inganni. Io t'assicuro
che alle tue tende or ora
Ma chi sei tu che meco
                        Nol disse.
A rintracciarla or vado.
Ma no, prima al tuo campo
con generoso eccesso
Taci importuno affetto.
ch'altri s'appressi! È questi
Se vendicata or sono
poi dileguarsi! Io fui
                 È giunto il tempo
Folle. Contro i malvaggi
quando più gli assicura
l'usurpator svenate. (Esce la gente)
Che si vuol? Che si tenta?
di sì basso pensiero?
                Emilia!
                                 È vero.
speri adoprar con lode
È virtù quell'inganno
che dall'indegna soma
l'idea d'un tradimento.
Lascia che un'alma grata
Mira se alcun vi resta
Risparmi il sangue nostro
quello di tanti eroi.
               Se qui paventi
A cento schiere in faccia
per qualunque periglio
Eroici sensi e strani
di valor, di coraggio
di tal dubbio l'oltraggio!
Ah se alcun si ritrova
si ripone in te solo.
Chi può nelle sventure
e parte e fa ritorno
Sol io provo degli astri
la costanza funesta.
non ti lasciò degl'avi
nella terra già doma
Ah non potrai tiranno
Ah questa indegna oscura
Ah volgi a me le ciglia,
vedi almen la mia pena.
                           Or senti.
giura ad Arbace e giura
all'oppressore indegno
contro lui ti assicuro.
                            Or vieni
fra queste braccia e prendi
cede ai moti del sangue
al suo crudel desio. (Parte)
Il vincer o compagni
Con mille e mille abbiamo
il trionfar commune,
conservate in Catone
l'esempio degli eroi
per le schiere fedeli.
Lasciatemi o crudeli.
Voglio del padre mio
e in faccia a queste squadre
Ma come... Per qual mano?...
                                Roma
Mi rammento che al padre
Ah se costar mi deve

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