di presentarsi a te. (Ad Adriano)
Venga e s'ascolti. (Aquilio parte. Adriano sale sul trono e parla in piedi)
che col mio sostenuto e non so come
de' comuni sudori io solo il frutto.
contrastar non poss'io, farò che almeno
mi trovi ognun di voi sempre l'istesso.
alla gloria di Roma, al vostro onore,
come finor, noi serviremo insieme. (Siede)
il suo cesare in te, dal ciglio augusto,
il destino dipende, un guardo volgi
al principe Farnaspe. Ei fu nemico;
l'ire depone e giura ossequio e fede.
necessaria non è). (Piano a Farnaspe)
d'ogni popolo è Roma e nel suo grembo
farsi parte di lei. Gli amici onora;
perdona a' vinti; e con virtù sublime
gli oppressi esalta ed i superbi opprime.
(Che insoffribile orgoglio!)
vengo a chiederti anch'io. Del re de' Parti
della sua patria il pianto; a me la rendi
e quanto io reco in guiderdon ti prendi.
non cambio o merco. Ed Adrian non vende
su lo stil delle barbare nazioni
combatterono i numi, è ignota a noi
del nostro re la sorte. O in altre rive
va sconosciuto errando o più non vive.
il destino non sia, cura di lei
Giacché a tal segno è Augusto
questa cura di lei lasci al suo sposo.
Tu stesso! Ed ella t'ama?
pria di saperlo ed apprendemmo insieme
a vivere e ad amar. Crebbe la fiamma
col senno e con l'età. Dell'alme nostre
in due spoglie divisa. Io non bramai
che la bella Emirena. Ella non brama
che il suo prence fedel. Ma quando meco
esser doveva in dolce nodo unita,
signor, che crudeltà! mi fu rapita.
signor, turbato sei. Forse t'offende
la debolezza mia. Di Roma i figli
So che colpa è fra voi qualunque affetto
che di gloria non sia. Tanta virtude
Cesare, io nacqui parto e non romano.
(Oh rimprovero acerbo! Ah si cominci
su' propri affetti a esercitar l'impero).
la bella prigioniera arbitra sia.
allor... (dicasi alfin) prendila e parti. (Scende)
d'Augusto i detti? Ei d'Emirena amante
di te parmi geloso e fida in lei.
il mio nemico? Ah questo ferro istesso
vorrei... No, non lo credo. Ella è mia figlia.
Mio re, che dici mai? Cesare è giusto,
ella è fedele. Ah qual timor t'affanna!
Chi dubita d'un mal, raro s'inganna.
ch'io son fra' tuoi seguaci.
Sì sì, mio re, ritornerò con lei.
che può farmi tremare. E poi si lasci
libero il corso al mio furor. Paventa
orgoglioso roman d'Osroa lo sdegno.
e sempre a' danni tuoi sarò l'istesso.
non prevengo Emirena, io son perduto.
a Farnaspe la rende, ancorché amante;
che ad arte io fomentai, farà ritorno
all'amor di Sabina, il cui sembiante
porto sempre nel cor. Numi in qual parte
Emirena s'asconde? Eccola. All'arte.
Principessa. Ah se vedessi
Augusto è contro te! Farnaspe a lui
che t'ama, che tu l'ami e mille in seno
smanie di gelosia. Freme, minaccia,
se in te non è la prima fiamma estinta,
ei vuol condurti al proprio carro avvinta.
Questo è l'eroe del vostro Tebro? Questo
è l'idolo di Roma? A me promise
esposta non sarei. Non è fra voi
dunque il mancar di fé colpa agli eroi?
agita i sensi e la ragione oscura,
Emirena, gli eroi cangian natura.
Non lo speri Adriano. In Asia ancora
v'è riparo miglior. Cesare viene
ad offrirti Farnaspe. Egli il tuo core
spera scoprir così. Deh non fidarti
l'arte con l'arte. Il caro prence accogli
con accorta freddezza. Il don ricusa
della sua man. Misura i detti e vesti
di tale indifferenza il tuo sembiante
come se più di lui non fussi amante.
E il povero Farnaspe? Ah tu non sai
di qual tempra è quel cuore. Io lo vedrei
a tal colpo morir sugli occhi miei.
se puoi, miglior consiglio.
corri, previeni il prence...
Armati di fortezza. Io t'insegnai
ad evitare il tuo destin funesto. (Parte)
Misera me! Che duro passo è questo.
le sembianze che adori? (A Farnaspe)
e sempre agli occhi miei sembran più belle.
con chi ritorno a te. Più dell'usato
so che grato ti giungo. Afferma il vero.
Non so chi sia quello stranier.
Straniero! (Resta sospeso)
No. (Se parlo io mi scopro e siam perduti).
Prence, questa è colei che teco apprese
Non so più dove son né chi son io.
(L'angustie di quel cor risente il mio).
Se mai fosse timore il tuo ritegno,
senti Emirena. Io degli affetti altrui
non son tiranno. Ecco il tuo ben. Lo rendo
com'è ragione al suo primiero affetto.
(Emirena costanza). Io non l'accetto.
Principessa! Idol mio! Che mai ti feci? (Con trasporto)
Sei sdegnata con me? Dubiti forse
Ma taci per pietà. N'è degno assai
nulla io so dir. Del mio destino avverso
se oppressa non mi vuoi, lasciami in pace.
Lasciami in pace! Ubbidirò, crudele,
ma guardami una volta. In questa fronte
leggi dell'alma mia... No, non mirarmi,
che ubbidisca Farnaspe a' cenni tuoi.
A pianger sola. Il pianto
Da te speravo (In aria maestosa)
più rispetto, o signor. L'animo regio
era della fortuna, il core è mio.
(Bella fierezza!) E in che t'offendo? Io posso
quasi due lustri; hanno a durare eterni
alfin gli amori? Io non suppongo in lei
tanta costanza; ed or diverso assai
son io da quel che fui. Veduto allora
non avevo il tuo volto; era privato;
era vicino a lei. Sospiro adesso
ne' lacci tuoi; porto l'alloro in fronte;
e Sabina è sul Tebro, io sull'Oronte.
per sì lungo cammin... Senza mio cenno...
Va', conducila altrove. In questo stato
non mi sorprenda. A ricompormi in volto
chiedo un momento. Ah poni ogn'arte in uso.
Signor, viene ella stessa.
Sposo! Augusto! Signor! Quest'è il momento
che invan finor bramai. Giunse una volta;
son pur vicina a te; soffri che adorno
che costa all'amor mio tanti sospiri.
Potevi pure... (Oh dio!) Chiede ristoro
la tua stanchezza. Olà, di questo albergo
passi Sabina. E al par di noi s'onori.
Che! Tu mi lasci? Il mio riposo io venni
tua dolce cura ancor Sabina.
ma la cura più grande oggi è l'impero. (Parte)
Aquilio, io non l'intendo.
è facile a spiegar. Cesare è amante.
Questa è la tua rival. (Piano a Sabina)
a Cesare ti serbi, una infelice
compatisci e socorri. E regno e sposo
e patria e genitor, tutto perdei.
non son moglie d'Augusto; e quanto dici
misera tu non sei. Poco ti tolse,
l'avversa sorte. Acquisterai se vuoi
più di quel che perdesti. E forse io stessa
(Tentiam la nostra sorte).
l'ingiustizia d'Augusto. Ei non prevede
come puoi vendicarti. A te non manca
né beltà né virtù. Qual freddo core
non arderà per te? Sugli occhi suoi
Seguitarlo ad amar, mostrar costanza,
e farlo vergognar d'esserti infido.
(Si turba il mar. Facciam ritorno al lido). (Parte)
Io piango! Ah no. La debolezza mia
palese almen non sia. Ma il colpo atroce
abbatte ogni virtù. Vengo il mio bene
fino in Asia a cercar; lo trovo infido,
m'ascolta appena, e volge altrove il passo;
né pianger debbo? Ah piangerebbe un sasso.
Feroci parti, al nostro ardir felice
arrise il ciel. Della nemica reggia
le ruine a mirar. Pure è sollievo
quest'ombra di vendetta. Oh come scorre
l'appreso incendio! E quanti al cielo inalza
globi di fumo e di faville! Ah fosse
ch'or la partica fiamma abbatte e doma
tutto il Senato, il Campidoglio e Roma.
Guarda Farnaspe. È quella (Accennando l’incendio)
forse de' torti tuoi paga la pena.
Ah Emirena! Ah mio bene! (Vuol partire)
A salvarla e morir. (Come sopra)
che ci manca di fé, pone in oblio...
È spergiura, lo so, ma è l'idol mio. (Getta il manto ed entra tra le fiamme e le ruine della reggia)
noi serbiamoci, amici, ad altre imprese.
Vadan le faci a terra. Al noto loco
ritornate a celarvi. Eppure ad onta (Parte il seguito)
del mio furor, sento che padre io sono.
Non so quindi partir. Sempre mi volgo
di nuovo a quelle mura. Eh non s'ascolti
una vil tenerezza. Ah forse adesso
però spira la figlia. E forse a nome
moribonda mi chiama. A tempo almeno
fosse giunto Farnaspe. Il lor destino
voglio saper. Dove m'inoltro? Oh dei!
di là cresce il tumulto; e tutto in moto
è il cesario soggiorno. Oh amico! Oh figlia!
Parto? Resto? Che fo? Senza salvarli
mi perderei. Ma giacché tutto o numi
questi deboli affetti a che lasciarmi? (Fugge)
Chi mi socorre? Almen sapessi... Oh dei!
difficile è il morir. Di quelle fiamme
perché son disperato, in quelle mura
mi schernisci così? Troppo è crudele
Come crederla vera? Assai diversa
Il parlar fu diverso. Io fui l'istessa.
Ma le fredde accoglienze?
d'irritar d'Adriano il cor geloso.
La mia speme, il mio amor.
fedele al mio Farnaspe. A lui fedele
vivrò fino alla tomba. E dopo ancora
se rimane agli estinti orma di vita.
Non più, cara, non più. Basta, ti credo;
Te ne chieggo perdon. Barbare stelle,
misero non son io. Disfido adesso
la vostra crudeltà. M'ama il mio bene.
e in faccia all'ire vostre io son felice. (In atto di partire)
che negato mi sia morirti accanto.
può mai meglio di te? Del cor d'Augusto
tu reggi i moti a tuo talento. Ogn'altra
grossolano artificio e mal sicuro.
La destrezza più scaltra è oprar di modo
ch'altri sé stesso inganni. Un tuo sospiro
interrotto con arte, un tronco accento
ch'abbia sensi diversi, un dolce sguardo
nel suo furto sorpreso, un moto, un riso,
un silenzio, un rossor, quel che non dici
farà capir. Son facili gli amanti
a lusingarsi. Ei giurerà che l'ami;
sempre gli potrai dir: «Nol dissi mai».
Aiuto e non consiglio io ti richiesi.
che un salubre consiglio è grande aiuto.
Adriano sarà che s'avvicina. (Parte)
(Stelle! È qui la rival!)
ufficiosa e attenta. Estinto appena
è l'incendio noturno e già ti trovo
Che ingiustizia è la tua! L'amor d'Augusto
non è mia colpa; è pena mia. M'affanno
di Farnaspe al periglio. Ecco qual cura
mi guida a queste soglie. Ho da vederlo
perir così senza parlarne? Alfine
Farnaspe è l'idol mio. Gli diedi il core
e ha remoti principi il nostro amore.
che parlando per lui Cesare irriti?
una miglior ve n'è. Da questa reggia
fuggi col tuo Farnaspe. È suo custode
Lentulo il duce; a' miei maggiori ei deve
quantunque egli è. Se ne rammenta e posso
promettermi di lui d'un grato core
A partir ti prepara. Al maggior fonte
col tuo sposo verrò. Colà m'attendi
prima che ascenda a mezzo corso il sole.
son tanto usata a tollerar lo sdegno...
Ecco la destra mia. Prendila in pegno.
oh me felice! Oh generosa Augusta!
Emirena sarà, forse ritorno
farà il mio sposo al primo amor. Non dura
senz'esca il fuoco; e inaridisce il fiume
separato dal fonte onde partissi.
Emirena mio ben... (Numi, che dissi). (Vuol partire)
Perché fuggi, Adriano? Un sol momento
non mi negar la tua presenza; e poi
torna al tuo ben se vuoi.
Qual è dunque il mio bene?
quell'onesto rossor. Tu non sai quanto
grato mi sia. Non arrossisce in volto
chi non vede il suo fallo. E chi lo vede
Lascia me sospirar. Numi del cielo,
chi creduto l'avria! L'onor di Roma,
l'esempio degli eroi, la mia speranza,
È possibile? È ver? Chi ti sedusse?
se tutto mi confondo. Ah lascia queste
chiamami traditor, sfogati. Io veggo
ch'hai ragion d'insultarmi. I merti tuoi,
replicate promesse io mi rammento.
Ma che pro? Non son mio. Conosco, ammiro
la tua virtù, la tua bellezza eppure
sol che io vegga... Ah Sabina, odio me stesso
per l'ingiustizia mia. So ch'è dovuta
una vendetta a te. Vuoi la mia morte?
Svenami. È giusto. Io non m'oppongo. Aspiri
a svellermi dal crin l'augusto alloro?
Lo depongo in tua man. Saria felice
suddito a sì gran donna il mondo intero.
Ah domando il tuo core e non l'impero.
Era tuo questo cor. S'io lo difesi,
tutti, o Sabina, in testimonio i numi.
eran vili per me. Freddo ogni sguardo
lunga stagion credei che fosse.
E poi... Non so. Di mia virtù sicuro
ed amor mi sorprese. Era nel campo,
e caldo ancor di bellicosi sdegni,
mi fu Emirena. Ad un diverso affetto
quando l'alma è in tumulto. Io la mirai
domandarmi pietà, bagnar di pianto
questa man che stringea, fissarmi in volto
in atto così dolce... Ah se in quell'atto
rimirata l'avessi a me vicina,
parrei degno di scusa anche a Sabina.
Ah questo è troppo. Abbandonar mi vuoi,
hai coraggio di dirlo; in faccia mia
ostenti la beltà che mi contrasta
del tuo core il possesso; e non ti basta.
ch'io facessi la scusa al tuo delitto.
tirannia più crudele? Il premio è questo
Barbaro! Mancator! Spergiuro! Ingrato! (S’abbandona sopra una sedia)
più vederla penar. Troppo a quel pianto
mi sento intenerir). Deh ti consola
bella Sabina. a' lacci tuoi felici
Che dici? (Guardandolo con tenerezza)
inchinarsi desia. Non ti ritrova
Emirena veder. Tempo una volta
È giustizia, è dover. Ma che domanda
la povera Emirena? A lei si niega
quel che a tutti è concesso. È serva, è vero,
par crudeltà non ascoltarla.
che potresti temer. Resta e vedrai...
Oh, questo no. Già m'ingannasti assai. (S’alza)
volo a cercar. (In atto di partire)
non udisti Sabina? Amor mi sprona;
Spiegati alfin. Se non t'intendo, invano
m'affanno a consolar quel core oppresso.
Spiegarmi! E come? Ah non m'intendo io stesso. (Parte)
Tolleranza, o mio cor. La tua vittoria
matura ancor non è. L'amor d'Augusto,
combattono per noi. La pugna è accesa;
ma non convien precipitar l'impresa.
Ecco la sposa tua. (A Farnaspe)
Sei pur tu caro prence? Il credo appena.
tempo non è. Convien salvarsi. È quella
non frequentata, oscura via. L'amico
Lentulo a me la palesò. Non molto
si parte in due. Guida la destra al fiume,
la sinistra alla reggia. A voi conviene
evitar la seconda. Andate, amici,
la fortuna vi scorga, amor vi guidi.
qualche volta a Sabina e fra le vostre
felicità, se pur vi torno in mente,
dalla vostra pietà qualche sospiro.
Ed è ver che sei mia? Ne temo e quasi
l'avvilirsi, ben mio. Celati intanto
che l'armi io scopro e la cagion di quelle.
Che sarà mai! Non mi tradite, o stelle. (Emirena si nasconde molto indietro, vicino a’ cancelli del serraglio)
Fra l'ombre adesso a raccontar l'altero
vada i trofei della sua Roma.
corri, signor, con queste spoglie?
siam vendicati. È libera la terra
dal suo tiranno. Ecco il felice acciaro
di questa occulta via talor valersi
l'abborrito romano. Un suo seguace
mel palesò. Tra questi eroi del Tebro
l'oro ha trovato un traditore. Al varco
travestito in tal guisa io l'aspettai,
finché passò col servo, e lo svenai.
Finse cader, quando mi fu vicino
il servo reo. Con questo segno espresso
Cesare espose, assicurò sé stesso.
(Chi sarà quel roman? Stringe un acciaro
e sanguigno mi par. Potessi in volto
per la via che facesti, incontro andiamo
al tumulto saran. Sugli altri ingressi
serbiam questo rimedio. Io voglio prima
nascoso attendi. Io tornerò di volo.
Sollecito ritorna o parto solo. (Osroa si nasconde molto innanzi fra le piante del boschetto)
Questo... No. Quel sentier... Ma s'io tentassi
da Sabina mi fu? D'Augusto il caso
forse ancor non è noto. E forse prima
noi fuggiti sarem. Sì, questo eleggo.
Fermati, traditor. (Incontrandosi in Farnaspe)
Numi, che veggo! (Si ferma stupido)
alla fuga, o custodi. (Alle guardie)
(Ah siam scoperti). (S’avanza ad ascoltare)
perché vivo mi vedi. A me credesti
di trafiggere il sen. L'empio disegno
Colui che si nascose è il traditore).
Perfido non rispondi? A che venisti?
Chi sciolse i lacci tuoi? Parla.
nel carcere più nero il delinquente.
Fermatevi; sentite. Egli è innocente. (Si scopre con impeto)
il traditor s'asconde. Eccolo... (S’incammina verso Osroa)
Vedilo, Augusto. (Accennando Osroa che s’avanza)
in abito romano! E quanti siete,
ho sete del tuo sangue. Il colpo errai;
assalirmi infedel? Coglier l'istante
che inciampo e cado al suol?
Ecco l'inganno. Il tuo seguace ad arte
cader doveva e tu cadesti a caso.
barbaro, tu mi rendi? Oppresso e vinto,
empi, con cui la tirannia chiamate;
ma poi servon gli amici e voi regnate.
Siam del giusto custodi. Al giusto serve
chi compagni ci vuol, non serve a noi;
ma la giustizia è tirannia per voi.
interpetri e custodi? Avete forse
parte co' numi? O siete i numi istessi?
procuriam d'imitargli; e 'l suo costume
chi co' numi conforma agli altri è nume.
avidi dell'altrui; rapite i regni;
vaneggiate d'amor; volete oppressi
della mia sofferenza. Olà, ministri,
in carcere distinto alla lor pena
Ah che ingiustizia è questa?
Qual delitto a punir ritrovi in lei?
posso padre chiamarti io che t'uccido?
Parti, non assalir la mia costanza.
Ah mi scacci a ragion. Perdono, o padre;
eccomi a' piedi tuoi. (S’inginocchia)
Addio dell'alma mia parte più cara.
debole io fui. Non congiurar tu ancora
contro la mia fortezza. Abbia il nemico
maggior dell'ire sue. Nell'ultim'ora
cader mi vegga e mi paventi ancora.
Con quai nodi tenaci avvinta a questa
miserabile spoglia è l'alma mia!
Ah, toglietemi il giorno, astri tiranni.
Come! Ch'io parta? A questo segno è cieco?
È ingiusto a questo segno? E di qual fallo
consigliera alla fuga. Ei del custode
ti crede seduttrice; e con tal arte
sa i tuoi falli ingrandir, che a chi lo sente,
nel punirti così, sembra clemente.
beneficando una rivale, io volli
procurarmi il suo cor. Non l'odio o l'ira
mi consigliò ma la pietà, l'amore;
onde error non commisi o è lieve errore.
Sabina, io lo conosco; e lo conosce
forse Adriano ancor. Ma giova a lui
Parti. Fidati a me. Lo vincerai
non resistendo. Io cercherò l'instante
Va'. Senz'altro parlar t'intendo appieno.
perché parta Sabina; e poi mi affanno
nel vederla partir. Pensa, o mio core,
che la perdi se resta. Ella risveglia
d'Augusto la virtù. Soffrir non puoi
ma se lieto esser vuoi, soffrir conviene.
Nulla, signore; è risoluta e vuole
son le querele sue che d'altro amante
la credo accesa. Io giurarei che serve
questa soverchia pace. Andiamo a lei.
del re de' Parti. Il mio consiglio accetti;
vuoi tentar di placarlo; a te lo chiami;
ei vien; t'attende; e nel compir l'impresa
agita l'alma mia. Roma, il Senato,
la mia gloria, il mio amor, tutto ho presente,
tutto accordar vorrei; trovo per tutto
qualche scoglio a temer. Scelgo, mi pento,
mi ritorno a pentir; mi stanco intanto
nel lungo dubitar, tal che dal male
il ben più non distinguo; alfin mi veggio
stretto dal tempo e mi risolvo al peggio.
di tormentar te stesso. Hai quasi in braccio
la bella che sospiri; e non ardisci
di stringerla al tuo seno! Io non ho core
di vederti soffrir. Vado de' Parti
Fa' quel che vuoi. (Aquilio parte)
è ragion di natura. E in tanta pena
io viver non saprei senza Emirena.
sieda e m'ascolti. E se non pace intanto
A lunga sofferenza io non m'impegno. (Siede)
(Del mio destin si tratta).
tutto è soggetto a cambiamento; e strano
soli fossero eterni. Alfin la pace
utile al vincitor. Fra noi mancata
è la materia all'ire. Il fato avverso
mi diè benigno il ciel che non rimane
l'odio primiero, onde mi resta assai.
tormenta il possessor. Puoi meglio altronde
il tuo fasto appagar. Sappi che sei
arbitro tu del mio riposo, appunto
qual son io de' tuoi giorni. Ordina in guisa
gli umani eventi il ciel che tutti a tutti
siam necessari; e il più felice spesso
che sperar, che temer. Sol che tu parli,
la principessa è mia. Sol ch'io lo voglia,
tu sei libero e re. Facciamo, amico,
a vantaggio d'entrambi. Io chiedo in dono
da te la figlia e t'offerisco il trono.
E ben, che dici? (Ad Osroa)
Osroa io lo son. Dissimular che giova!
meco non veggo in dolce nodo unita,
non ho ben, non ho pace e non ho vita.
a renderti felice, io son contento.
il perduto riposo. Aquilio. A noi
Ubbidito sarai. (Sabina è mia). (Parte)
Ora a viver comincio. Olà. Togliete
quelle catene al re de' Parti. (Escono due guardie)
non è tempo Adriano. Io goderei
prima de' doni tuoi che tu de' miei.
Non è dover. Partite. (Partono le guardie)
Eppur non viene. (Guardando per la scena)
io vado ad affrettar. (S’alza)
No. Già s'appressa. (S’alza trattenendolo)
Bellissima Emirena... (Incontrandola)
meglio sarà ch'io tutto spieghi.
fra le miserie nostre abbiamo ancora
di che goder. Lo crederesti? Io trovo
nella bellezza tua tutto il compenso
Lasciami terminar. (Ad Adriano)
raccolse amico il ciel che fatto servo
il nostro vincitor per te sospira.
Offre tutto per te; scorda gli oltraggi;
s'abbassa alle preghiere; odia la vita
senza di te che per suo nume adora.
Tu dunque puoi... (Ad Emirena)
Non ho finito ancora. (Ad Adriano)
(Mi fa morir questa lentezza!)
questo del genitor ultimo cenno
nel più sacro dell'alma). Io voglio almeno
la mia vendicatrice. Odia il tiranno
com'io l'odiai finora. E questa sia
t'unisca a lui. Ma forsennato, afflitto
fremer di sdegno e delirar d'amore.
Parli Cesare adesso. Osroa ha finito.
Sconsigliato, infelice, e non t'avvedi
Son le tue furie il mio trionfo.
Che sguardi! Che parlar! Tanto alle fiere
può l'uomo assomigliar? Stupisco a segno
che scema lo stupor forza allo sdegno.
Figlia, s'è ver che m'ami, ecco il momento
di farne pruova. Un genitor soccorri
del tiranno roman. Senza catene
d'ogn'insidia innocenti e le disciolse
a Farnaspe ed a me. Ma qual soccorso
Padre, che dici? E queste
sarian prove d'amor? La figlia istessa
scellerata dovrebbe... Ah senza orrore
non posso immaginarlo. Invan lo speri.
Il cor l'opra abborrisce; e quando il core
sapria nell'opra istupidir la mano.
dell'origine tua. Tremi di morte
al nome sol! Con più sicure ciglia
riguardar lo dovria d'Osroa la figlia.
Corri Emirena. (Con fretta)
delle catene sue l'indegna soma
offriti sposa ad Adriano; obblia
le speranze, l'amor. Tutto si perda
un comando eseguir dato nell'ira
che è una breve follia. Dobbiamo, o cara,
andar dunque degg'io? Tu lo consigli?
tu non vedi il mio cor. Non sai qual pena
questo sforzo mi costa. Allorch'io parlo
che non senta tremar. Stilla di sangue
gelida non mi scorra. Io so che perdo
m'era dolce la vita. Io so che resto
grave agli altri ed a me. Ma l'Asia tutta
che direbbe di noi, s'Osroa perisse,
quando possiam salvarlo? Anima mia,
necessario dover la nostra pace.
occupa della terra. Un gran sollievo
per me sarà quel replicar talora
«Chi diè legge al mio cor dà legge al mondo».
a perderti ben mio, deh non mostrarti
no, non mi perdi. Infin ch'io resti in vita
t'amerò, sarò tuo. Sol però quanto
la gloria tua, la mia virtù concede.
Lo giuro a' numi tutti e a que' bei lumi
che per me son pur numi. E tu... Ma dove
mi trasporta l'affanno? Ah che ci manca
anche il tempo a dolerci. Osroa perisce
mentre pensiamo a conservarlo.
Vorrei che mi lasciassi e non vorrei.
la fedeltà, la tenerezza a pruova
pugnano nel mio seno. Or questa, or quella
è vinta, è vincitrice; ed a vicenda
ma qualunque trionfi, io perdo sempre.
Temerario! Non più; benché da lui
mi discacci Adriano, è a te delitto
che mi parli d'amor. (Partendo per imbarcarsi)
(Numi!) Che chiedi? (Tornando indietro)
odioso ti son io che partir vuoi
Ah non schernirmi ancora.
la libertà d'abbandonarmi?
ch'io dovessi partir senza mirarlo?
(Se parlo mi condanno e se non parlo).
le trame tue. Sappi Adriano...
Signor, Sabina adoro; e lei presente
temei la tua virtù. Perciò lontana...
Basta. Che tradimento! Anima rea!
Tu rivale ad Augusto! Olà, costui
Avverso ciel! (È disarmato)
che risano a gran passi. Il dover mio,
tu il nume mio. Per quel sereno il giuro
raggio del ciel che nel tuo volto adoro,
che porti al crin, per questa invitta mano
ch'io bacio... (S’inginocchia)
Ah sorgi; ah taci. (È donna o dea?
Quando m'innamorò così piangea).
perdo Emirena; e se all'amor mi fido
la mia Sabina uccido. Ah qual cimento!
(E pur mi fa pietà, benché infedele).
Ah per pietà non tormentarmi. Io tutto
son le nostre ferite. Uno di noi
dee morirne d'affanno. Io se ti perdo,
tu se perdi Emirena. Ah non sia vero
che per salvar d'inutil donna i giorni
perisca un tale eroe. Serbati, o caro,
alla tua gloria, alla tua patria, al mondo,
se non a me. D'ogni dover ti sciolgo;
ed io stessa sarò la tua difesa.
Cesare addio. (In atto di partire)
Fermati. Oh grande! (Arrestandola)
di mille imperi! Ah qual eccesso è questo
d'inaudita virtù! Tutti volete
dunque farmi arrossir? Fedel vassallo, (A Farnaspe)
a favor del tuo re. Figlia pietosa, (Ad Emirena)
tu per il padre tuo. Tradita amante, (A Sabina)
non pensi tu che al mio riposo. Ed io,
il debole sarò? Né mi nascondo
per vergogna a' viventi? E siedo in trono?
E do leggi alla terra? Ah no. Facciamo
tutti felici. Al re de' Parti io dono
e regno e libertà; rendo a Farnaspe
la sua bella Emirena; Aquilio assolvo
e a te, degno di te, rendo me stesso. (A Sabina)
Ecco il vero Adriano; or lo ravviso.
grata quest'alma a' benefici tuoi...
Se grata esser mi vuoi, lasciami ormai
la pace del mio cor. Poco è sicura
finché appresso mi sei. Subito parti;
io te ne priego. Ecco il tuo sposo; il padre
colà ritroverai. Lieti vivete;
questi deliri miei d'eterno oblio.
Almen signor... (Volendogli baciar la mano)
Basta Emirena. Addio. (Non soffrendolo)