Perché sì mesto o padre? Oppressa è Roma
se giunge a vacillar la tua costanza.
di tutte le sventure è il tuo dolore.
Signor che pensi? In quel silenzio appena
riconosco Catone. Ov'è lo sdegno
figlio di tua virtù? Dov'è il coraggio?
Dove l'anima intrepida e feroce?
l'ardir primiero è in qualche parte estinto
non v'è più libertà, Cesare ha vinto.
è segno di viltade e agl'occhi altrui
la prudenza e il timor; se penso e taccio,
taccio e penso a ragion; tutto ha sconvolto
di Cesare il furor. Per lui Farsaglia
è di sangue civil tiepida ancora.
Roma, il Senato, al di cui cenno un giorno
tremava il Parto, impallidia lo Scita.
per lui sugli occhi al traditor di Egitto
cadde Pompeo trafitto. E solo in queste
la fuggitiva libertà latina.
che d'assedio ne stringe. I nostri armati
pochi sono e mal fidi; in me ripone
Roma che geme al suo tiranno in braccio;
e chiedete ragion s'io penso e taccio?
il desio di regnar; troppo gli costa
che serva la desia, ma un figlio ingrato
non sente orror nel lacerarle il seno.
Cesare ancora. A superar gli resta
il riparo più forte al suo furore.
regolati saranno, ultima speme
tacendo il tuo valor, l'anima grande
d'esser figlia di Roma altro non manca.
questa colpa non mia; la tua virtude
nel sen di Marzia io da gran tempo adoro.
alla nostra amistà; soffri ch'io porga
non mi sdegni la figlia e son romano.
la nostra libertà l'ultimo fato,
arde il mondo di bellici furori
parla Arbace di nozze e chiede amori?
che alla scelta servir del genio altrui.
si meschiano le cure. Ognun difende
parte di sé nell'altro, onde muniti
crescon gl'imperi e stanno i regni in pace.
al par di te con men turbate ciglia
che la tua prole istessa, una che nacque
cittadina di Roma e fu nudrita
all'aura trionfal del Campidoglio
si cangiano i costumi. In ogni tempo
tanto fasto non giova e a te non lice
esaminar la volontà del padre.
Principe non temer, fra poco avrai
Marzia tua sposa. In queste braccia intanto
prendi il pegno primiero e ti rammenta
ch'oggi Roma è tua patria. Il tuo dovere
è di salvarla o di cader con lei.
se non sanno impetrar dal tuo bel core
che se il labro nol dice, ancor nol sai?
qual di eseguir necessità ti stringa
sicurezza maggior? Su la mia fede,
il giuro ai numi, a que' begli occhi il giuro.
Che mai chieder mi puoi? La vita? Il soglio?
non si parli di nozze, a tua richiesta
non sappia ch'io l'imposi e son contenta.
la mia felicità tanto allontani?
Il merto di ubbidir perde chi chiede
qual ne sia la cagion. Cesare ancora
è la tua fiamma. All'amor mio perdona
un libero parlar. So che l'amasti,
oggi in Utica ei viene, oggi ti spiace
che si parli di nozze, i miei sponsali
oggi ricusi al genitore in faccia
e vuoi da me ch'io t'ubbidisca e taccia?
dileguar io potrei ma tanto ancora
non deggio a te. Servi al mio cenno e pensa
a quanto promettesti, a quanto imposi.
mi saranno pietosi o pur sdegnati?
Che giurai! Che promisi! A qual comando
ubbidir mi conviene! E chi mai vide
più misero di me! La mia tiranna
quasi sugl'occhi miei si vanta infida
ed io l'armi le porgo onde m'uccida.
Dunque Cesare venga. Io non intendo
qual cagion lo conduca! È inganno! È tema!
non giunge a tanto ambizion d'impero
che dia ricetto a così vil pensiero. (Cala il ponte e vien Cesare e Fulvio)
a mia difesa armate in campo aperto
non mi presento a te. Senz'armi e solo
fra le mura nemiche io porto il piede,
la virtù di Catone emulo ancora.
Mi conosci abbastanza, onde in fidarti
nulla più del dovere a me rendesti.
In Egitto non sei. Qui delle genti
si serba ancor l'universal ragione
né vi son Tolomei dov'è Catone.
È ver, noto mi sei; già il tuo gran nome
fin da' prim'anni a venerare appresi.
padre e sostegno e delle antiche leggi
riggido difensor. Fu poi la sorte
prodiga all'armi mie del suo favore.
per cui contento ogn'altro acquisto io cedo
è l'amicizia tua, questa ti chiedo.
E il Senato la chiede. A voi m'invia
nuncio del suo voler. È tempo ormai
la combattuta patria abbia riposo.
è già l'Italia afflitta. Alle campagne
manca il ferro agli aratri. In uso d'armi
tutto il furor converte e mentre Roma
con le sue mani il proprio sen divide
gode l'Asia incostante, Africa ride.
facilmente l'avrà. Sia fido a Roma.
Chi più fido di me? Spargo per lei
il sudor da gran tempo e il sangue mio.
romane insegne a venerare apprese.
Già tutto il resto è noto.
godiamo i frutti e in ogni parte abbiamo
pegni dell'amor tuo. Dunque mi credi
mal accorto così ch'io non ravvisi
velato di virtude il tuo disegno?
che il tirannico genio onde infelici
tanti hai reso fin qui...
Di ricomporre i disuniti affetti
non son queste le vie. Di pace io venni
(Io l'ammiro però se ben m'offende). (A Fulvio)
dal tuo, dal cenno mio. Sol che la nostra
amicizia si stringa il tutto è in pace.
qualche pietà pur senti, i sensi miei
ch'io sperai da Catone? Un luogo istesso
vedova di Pompeo col suo nemico?
Così d'Emilia il difensor tu sei?
Fin di pace si parla in faccia a lei?
perdono al tuo dolor. Quando l'oblio
util si rende al commun bene, è giusto.
sperar si può dall'oppressor di Roma?
A Cesare oppressor? Chi l'ombra errante
placò del gran Pompeo? Forse ti tolsi
armi, navi e compagni? A te non resi
Ma già che vivo ancor saprò valermi
contro te del tuo don; finché non vegga
la tua testa recisa, e terre e mari
scorrerò disperata; in ogni parte
lascerò le mie furie e tanta guerra
contro ti desterò che non rimanga
più nel mondo per te sicura sede.
Sai che già tel promisi, io serbo fede.
sei sdegnata con me sei troppo ingiusta.
la cagion de' miei mali? Il mio consorte
tua vittima non fu? Forse presente
non ero allor che dalla nave ei scese
sul picciolo del Nilo infido legno?
che il sen gli aperse, il primo sangue io vidi
macchiar fuggendo al traditor il volto.
non mi gittai, che questo ancor mi tolse
l'onda fraposta e la pietade altrui.
di tanto già seguace mondo un solo
che potesse a Pompeo chiuder le ciglia.
Tanto invidian gli dei chi lor somiglia.
di Tolomeo nell'empietade; assai
la vendetta ch'io presi è manifesta;
s'io piansi allor su l'onorata testa.
per gioia o per dolor; la gioia ancora
tempo opportuno a favellar di pace.
Chiede l'affar più solitaria parte
dunque in breve io vi attendo e tu fra tanto
lasciar l'affanno in libertà non dei,
figlia a Scipione ed a Pompeo consorte.
Tu taci Emilia? In quel silenzio io spero
d'un vincitor sì generoso a fronte?
Io placarmi! Anzi sempre in faccia a lui
se fosse ancor di mille squadre cinto
dirò che l'odio e che lo voglio estinto.
io ti riveggo o Fulvio; e che ti rese
di Cesare seguace, a me nemico?
non son nemico a te. Troppo ho nell'alma
de' pregi tuoi la bella imago impressa
avessi al tuo dolor, direi che ancora
che adesso ardo per lei, qual arsi pria
a Pompeo la donasse, e le direi
ch'è bella anche nel duolo agli occhi miei.
e l'amante d'Emilia, o lui difendi
o vendica il mio sposo; a questo prezzo
Tutto sperar tu dei da chi t'adora.
Se gli altrui folli amori ascolto e soffro
e s'io respiro ancor doppo il tuo fato
non mi restano altr'armi. A te gli affetti
tutti donai, per te li serbo e quando
termini il viver mio saranno ancora
s'è ver ch'oltre la tomba aman gli estinti.
d'infedeltade Emilia e tanto spera
Sì, ma per quanto io l'ami
per sicurezza tua, così palesi
tutto fido me stesso; or mentre io vado
il campo a riveder qui resta e siegui
che la tardanza mia destar potrebbe.
che pria che giunga a mezzo il corso il giorno
un momento con lei, finora invano
so che t'adora anch'ella e so per prova
dopo lunga stagion nel dolce istante
che rivede il suo bene un fido amante. (Parte)
Pur ti riveggo o Marzia. Agli occhi miei
che per costume a figurarti avvezzo
mi lusinghi il pensiero; oh quante volte
fra l'armi e le vicende in cui m'avvolse
l'incostante fortuna a te pensai.
un sospiro per me? Rammenti ancora
la nostra fiamma? Al par di tua bellezza
crebbe il tuo amore o pur scemò? Qual parte
Chi sono? E qual richiesta? È scherzo? È sogno?
o così di sembianza io mi cangiai?
per volger d'anni o per destin rubello
No, tu quello non sei, n'usurpi il nome.
Un Cesare adorai, nol niego, ed era
del mondo intier dolce speranza e mia.
Questo Cesare amai, questo mi piacque
pria che l'avesse il ciel da me diviso.
Questo Cesare torni e lo ravviso.
Sempre l'istesso io sono e se al tuo sguardo
più non sembro l'istesso, o pria l'amore
o t'inganna or lo sdegno. All'armi, all'ire
più che la scelta mia l'invidia altrui.
Combattei per difesa. A te dovevo
conservar questa vita e se pugnando
scorsi poi vincitor di regno in regno
sperai farmi così di te più degno.
Molto ti deggio inver, se ingiusta offesi
il tuo cor generoso a me perdona.
sempre credei che si facesse guerra
solamente a' nemici e non spiegai
come pegni amorosi i tuoi furori.
d'un grand'eroe che viva innamorato
conoscerò così. Barbaro, ingrato.
Che far di più dovrei. Supplice io stesso
quando potrei... Tu sai...
de' nemici ho da espormi?
impaccio al tuo disegno è il padre mio.
Di' che lo brami estinto e che non soffri
che sol Catone a soggiogar ti resti.
un sincero parlar. Quanto me stesso
io t'amo, è ver; ma la beltà del volto
non fu che mi legò, Catone adoro
nel sen di Marzia; il tuo bel core ammiro
come parte del suo; qua più mi trasse
l'amicizia per lui che il nostro amore.
dirti ancor più, se m'imponesse un nume
di perdere un di voi, morir d'affanno
ma Catone e non Marzia io salverei.
Ecco il Cesare mio. Comincio adesso
a ravvisarlo in te. Così mi piaci,
così m'innamorasti. Ama Catone,
io non ne son gelosa, un tal rivale
più degno sei ch'io ti conservi amore.
Questa è troppa vittoria. Ah mal da tanta
generosa virtude io mi difendo.
al tuo riposo e pria che cada il giorno
che son Cesare ancora e che t'amai.
rinascer tutte entro il mio sen vi sento.
resta di questo dì. Placato il padre
se all'amistà di Cesare si appiglia
forse il prence non giunse.
già corse ad affrettarlo. (In atto di partire)
Deh t'arresta o signor. (A Catone)
Sarai contento. (Piano ad Arbace)
a compir l'imeneo. Potea più pronto
è poco il sangue mio ma se pur vuoi
che si renda più grato, all'altra aurora
differirlo ti piaccia. Oggi si tratta
grave affar co' nemici e il nuovo giorno
tutto al piacer può consacrarsi intero.
son raccolti i ministri ed importuna
Marzia che deggio far? (Piano a Marzia)
Mel chiedi ancora? (Piano ad Arbace)
Oh dio... Non sai... (Che pena!)
Ma qual freddezza è questa! Io non intendo!
che si oppone a' tuoi voti? (Ad Arbace)
No, son io che ti priego.
Poi ricusa la figlia... Il giorno istesso
che vien Cesare a noi tanto si cangia...
Sì lento... Sì confuso... Io temo... Arbace
non ti sarebbe già tornato in mente
e nulla ormai più da veder m'avanza. (Parte)
Brami di più crudele? Ecco adempito
il tuo comando, ecco in sospetto il padre
ed eccomi infelice, altro vi resta
incominciasti appena e in faccia mia
già ne fai sì gran pompa.
In mezzo al mio dolore a parte anch'io
son de' vostri contenti illustri sposi.
gli auguri Emilia, è ancor sospeso il nodo.
tanto crudele. Ella per me sospira
da' sguardi suoi, dal suo parlar si vede.
maggior prova d'amor. Perché ho diletto
Che posso far. Di chi ben ama è questa
il vostro amore inusitato e nuovo.
Anch'io poco l'intendo e pur lo provo.
Se manca Arbace alla promessa fede
di cotanta viltà benché nemico.
Tu nol conosci, è un empio, ogni delitto
pur che giovi a regnar virtù gli sembra.
E pur sì fidi e numerosi amici
il numero maggior. Gl'unisce insieme
delle colpe il comercio. Indi a vicenda
si soffrono tra loro e i buoni anch'essi
si fan rei coll'esempio o sono oppressi.
lasciam per ora e favelliam fra noi.
lo sposo tuo per gelosia d'impero?
questa idea di regnar forse dispiacque?
l'ingiusto era Pompeo. La sorte accusa.
È grande il colpo, il veggio anch'io, ma alfine
che d'esser più felice il vincitore.
E ragioni così? Che più diresti
Cesare amando? Ah ch'io ne temo e parmi
E puoi creder che l'ami una nemica?
Ah troppo dissi e quasi tutto Emilia
comprese l'amor mio. Ma chi può mai
sì ben dissimular gli affetti sui
che gli asconda per sempre agl'occhi altrui.
che la tua cura aggiunge, io veggio o padre
segni di guerra e pur sperai vicina
di Cesare seduce i miei più fidi.
giunser le schiere; eccoti un nuovo pegno
per togliermi i sospetti.
ricorda la mia fé, vedi a qual segno
Servi al dovere e non mancar di fede.
Già il suo consiglio udisti, (Ad Arbace)
dell'amor tuo, soffri l'indugio, io giuro
ch'è l'onor mio, ch'io ti sarò fedele.
che l'imeneo nel nuovo dì succeda
finché sposo di lei te non rimiro
Ma questo a noi che giova?
d'entrambi io mi assicuro. Impegna Arbace
con obligo maggior la propria fede
più stretto a noi, non può di lui fidarsi.
per sì lieve cagione affar sì grande?
t'opponi a torto. Al tuo riposo e al mio
a me parli così né ti sovviene
le speranze di tanti in abbandono?
Servo al dovere e mancator non sono.
Marzia t'acchetta; al nuovo giorno o prence
sieguan le nozze, io tel consento; intanto
ad impedir di Cesare il ritorno
(Io son di nuovo in pena).
digli che rieda; in questo dì non voglio
ragione a voi dell'opre mie.
in ogn'altro che in te mancar saria
Mancò Cesare prima. Al suo ritorno
Cesare in un sol giorno a te sen viene
Qual disprezzo è mai questo. Alfin dal volgo
non si distingue Cesare sì poco
che sia lecito altrui prenderlo a gioco.
Fulvio ammiro il tuo zelo, invero è grande.
Ma un buon roman si accenderebbe meno
diffende il giusto; un buon roman si adopra
pria della pace e dell'istessa vita
Cesare parta. Io farò noto a lui
sì gran torto non soffro.
che contien questo foglio e chi l'invia. (Fulvio dà a Catone un foglio)
(Eh non scherzar, che da sperar mi resta!) (Catone apre il foglio e legge)
«Il Senato a Catone. È nostra mente
render la pace al mondo. Ognun di noi,
i consoli, i tribuni, il popol tutto,
Cesare istesso il dittator la vuole.
Servi al publico voto e se ti opponi
suo nemico la patria oggi ti chiama».
«È nostra mente... Il dittator la vuole... (Rileggendo da sé)
Suo nemico la patria...» E così scrive
No gli dirai che parta e più non torni.
non la ragion ma la viltade altrui.
Non è più quel di pria. Di schiavi è fatto
non sta fra quelle mura. Ella è per tutto
di gloria e libertà l'amor natio.
Son Roma i fidi miei, Roma son io.
non conosci il suo zelo? Ei crede...
pur ciò che vuol, conoscerà fra poco
e se a Cesare sono amico o servo. (Parte)
Dagl'occhi miei t'invola.
è demerito in me. Così geloso
esequisco, nascondo un tuo comando
la noia ho da soffrir di questi tuoi
rimproveri importuni? Io ti disciolgo
d'ogni promessa; in libertà ti pongo
di' ciò che vuoi, pur che mi lasci in pace.
questa mia crudeltà? Di chi ti lagni?
chi pietosa t'accolga? Io tel consiglio.
Vanne, il tuo merto è grande e mille in seno
amabili sembianze Africa aduna.
l'aquisto del tuo cor, di me ti scorda.
Ma chi tutto può far ciò che desia?
è Cesare da noi. Come sofferse
Che disse? Che farà? Tu lo saprai,
tu che sei tanto alla sua gloria amica.
Ecco Cesare istesso, egli tel dica.
giunse Catone? E qual dover, qual legge
può render mai la sua ferocia doma?
È Cesare un tiranno? Ei solo è Roma!
Ah questo è troppo. Ei brama
Io vo, di' che m'aspetti e si difenda. (In atto di partire)
Deh ti placa, il tuo sdegno in parte è giusto,
a ragion dubitò, de' tuoi sospetti
m'è nota la cagion, tutto saprai.
consolati signor, la tua fortuna
degna è d'invidia. Ad ascoltarti alfine
scende Catone. Io di favor sì grande
i compagni, gli amici, Utica intera
desiosa di pace a forza ha svelto
Una privata offesa ah non seduca
il tuo gran cor, vanne a Catone e insieme
a muoverti a pietà non son bastante?
(Più dubitar non posso, è Marzia amante).
che si parli di pace, a vendicarci
andiam coll'armi, il rimaner che giova?
No, facciam del suo cor l'ultima prova.
vile che sei quel tuo gran cor. Ritorna
supplice a chi t'offende e fingi a noi
vendicar con un cenno e si raffrena
vile non è. Marzia di nuovo al padre
vuo' chieder pace e soffrirò fintanto
ch'io perda di placarlo ogni speranza.
l'orgoglio in lui che non si pieghi, allora
giunger potrebbe un trattenuto sdegno.
Lode agli dei. La fuggitiva speme
a Marzia in sen già ritornar si vede.
chi non sente piacer, quando placato
può sperar la sua pace il mondo intero.
Nobil pensier, se i publici riposi
di tutti i voti tuoi sono gl'oggetti.
ond'altri asconda i suoi privati affetti.
Credi ciò che a te piace. Io spero intanto
l'alma si fida e i suoi timori oblia.
Or va', di' che non ami, assai ti accusa
l'esser credula tanto. È degli amanti
questo il costume, io non m'inganno e pure
e sei da quel che speri assai lontana.
che mia colpa non è s'oggi di pace
Fulvio conosco e quanto oprasti intesi.
ragionasti a Catone. Era il tuo fine
cred'io d'aggiunger foco al loro sdegno.
tu promettesti, il sai, l'onor del colpo.
delle sventure mie tutto l'affanno.
che vendicarti all'amor mio che questa.
agl'uomini ed ai numi io mi protesto
mi riduco a soffrirlo e con mio affanno
debole io son per non parer tiranno.
questo giorno è cagion. Da due sì grandi
incerto il mondo e curioso pende
o servitude o libertade attende.
per pietà secondate i voti miei). (Parte)
preziosi i momenti e qui non voglio
o stringi tutto in poche note o parti. (Siede)
T'appagherò. (Come m'accoglie!) Il primo (Siede)
de' miei desiri è il renderti sicuro
se pur vuoi che t'ascolti. Io so che questa
artificiosa lode è in te fallace
e vera ancor da' labri tuoi mi spiace.
(Sempre è l'istesso!) Ad ogni costo io voglio
pace con te, tu scegli i patti, io sono
come faria col vincitore il vinto.
adempirò, che dubitar non posso
Giustissima sarà. Lascia dell'armi
l'usurpato comando; il grado eccelso
di dittator deponi. E come reo
alla patria ragion de' tuoi misfatti,
questi se pace vuoi saranno i patti.
Tu sol non basti; io so quanti nemici
m'irritò la mia sorte, onde potrei
i giorni miei sagrificare invano.
Ami tanto la vita e sei romano?
In più felice etade agli avi nostri
non fu cara così. Curzio rammenta,
Decio rimira a mille squadre a fronte,
vedi Scevola all'ara, Orazio al ponte
di sangue e di sudor bagnati e tinti
trecento Fabi in un sol giorno estinti.
nuocerebbe alla patria or la mia morte.
che egualmente ciascun comandi e serva.
tu credi più sicura in mano a tanti
discordi negli affetti e ne' pareri?
regola sempre altrui. Solo fra i numi
Giove il tutto dal ciel governa e muove.
Dov'è costui che rassomigli a Giove?
Io non lo veggo e se vi fosse ancora
diverebbe tiranno in un momento.
Tutto pende qua giù da un dubbio evento.
della patria e del giusto. Intesi assai,
Parla e t'affretta. (Torna a sedere)
(Quanto sopporto!) Il combatuto acquisto
dell'impero del mondo, il tardo frutto
de' miei sudori e de' perigli miei
di tante colpe tue fosse il rossore.
temerario così tentando vai?
l'odio per me. Meglio rifletti, io molto
offrirti più. Perché fra noi sicura
rimanga l'amistà, darò di sposo
piombi sopra di me tutto lo sdegno
infami il sangue mio, che a me congiunto
io soffra un traditore, un che di Roma
ha quasi già nel suo furor sepolta
la toleranza mia. Che più degg'io
soffrir da te? Per tuo riguardo il corso
trattengo a' miei trionfi; io stesso vengo
dell'onor tuo geloso a chieder pace.
ti voglio a parte; offro a tua figlia in dono
questa man vincitrice; a te cortese
rendo segni d'amor. Non sei contento?
Che pretendi da me? Se d'esser credi
di Cesare tu solo invan lo speri.
Han principio dal ciel tutti gl'imperi.
chi favorisca il ciel. (In atto di partire)
l'amistà sospirata? (A Cesare)
I prieghi d'una figlia?... (A Catone)
D'una romana il pianto... (A Cesare)
Ma qualcuno a pietade almen si muova.
Per soverchia pietà quasi con lui
vile mi resi. Addio... (In atto di partire)
che s'involi al mio sguardo.
ormai l'ire ostinate. Assai di pianto
alle spose latine. Assai di sangue
costano gli odi vostri all'infelice
popolo di Quirino. Ah non si veda
più incrudelir l'amico. Ah non trionfi
del germano il germano. Ah più non cada
al figlio che l'uccise il padre accanto.
Basti alfin tanto sangue e tanto pianto.
Non basta a me! Se vuoi (A Catone)
v'è tempo ancor. Pongo in oblio le offese,
l'ire depongo e la tua scelta attendo.
Ah signor che facesti? Ecco in periglio
non v'è più pace e fra l'ardor dell'armi
mal sicure voi siete; onde alle navi
portate il piè. Sai che il german di Marzia
di quelle è duce e in ogni evento avrete
di sotterranea via. Ne cela il varco
de' folti dumi e de' pendenti rami
l'invecchiata licenza. All'acque un tempo
servì di strada, or dall'età cangiata
dall'offesa cittade al mar vicino.
(Può giovarmi il saperlo).
la speme o padre? È mal sicura, il sai,
la fé d'Arbace, a ricusarmi ei giunse.
ricusarti non può; di tanto eccesso
che far degg'io. Senza aspettar l'aurora
ogn'ingiusto sospetto a render vano
vengo sposo di Marzia, ecco la mano.
disciolto io sono e la ragion tu sai.
deggio un pegno di fede in tal periglio.
tutto dirò. Mai non mi piacque Arbace,
mai nol soffersi, egli può dirlo; ei chiese
per cenno mio, sperai che alfin più saggio
impegnar non volesse a far soggetti
non è di tormentarmi e vuol ridurmi
a un estremo rimedio anch'io m'appiglio.
Son fuor di me. Donde tant'odio? E donde
Tacete, io lo dirò; Cesare adoro.
amato genitor, di lui m'accesi
pria che fosse nemico; io non potei
sciogliermi più. Qual è quel cor capace
d'amare e disamar quando gli piace?
ch'ogni rispetto oblia, che in abbandono
mette il proprio dover, padre non sono.
forse i numi involai? Forse distrussi
con sacrilega fiamma il tempio a Giove?
Amo alfine un eroe di cui superba
va la presente etade, il cui valore
gl'astri, la terra, il mar, gli uomini, i numi
favoriscono a gara, onde se l'amo
o il fallo universale approva il mio.
Scelerata il tuo sangue... (In atto di ferir Marzia)
Vantarlo in faccia mia! Stelle spietate
a quale affanno i giorni miei serbate.
Sarete paghi alfin. Volesti al padre (Ad Arbace)
vedermi in odio? Eccomi in odio. Avesti
desio di guerra, eccoci in guerra. Or dite
Ditelo che vi feci, anime ingrate.
Udisti Arbace? Il credo appena. A tanto
un temerario amor? Ne vanti il foco,
te ricusa, me insulta e il padre offende.
di tanta debolezza! A tale oltraggio
Che posso far. È ingrata,
è ingiusta, io la conosco e pur l'adoro.
colla sua crudeltà la mia costanza.
la tirania, la crudeltà, lo sdegno
dell'ingrato mio ben senza lagnarmi
tolerar io saprei. Tutte son pene
soffribili ad un cor. Ma su le labra
della nemica mia sentir il nome
del felice rival, saper che l'ama,
udir che i pregi ella ne dica e tanto
questo questo è penar, questo è morire.
Tutto amico ho tentato. Andiamo, ormai
giusto è il mio sdegno, ho tolerato assai.
d'Utica v'è chi nell'uscir ti deve
Emilia, ella mel disse, ella confida
nell'amor mio, tu 'l sai.
ci apriremo la via. Vieni.
quest'ardor generoso. Altro riparo
milita di Catone infino al campo
Floro s'appella, uno è di quei che scelse
Emilia a trucidarti, ei vien pietoso
d'Iside al fonte. Egli m'è noto, a lui
fidati pur. Intanto al campo io riedo
e per renderti più la via sicura
darò l'assalto alle nemiche mura.
la più grand'opra lor cura gli dei. (Parte)
difendi il viver tuo. Cesare addio.
Io stessa non so dirlo, il padre irato
giungesse mai). Non m'arrestar, la fuga
arrischiarti così? Ne' tuoi perigli
me non seguir, pensa a te sol, non dei
meco venire, addio... Ma senti, in campo
com'è tuo stil se vincitor sarai
risparmia il sangue, io te ne priego. Addio.
T'arresta anche un momento.
perigliosa per noi, potrebbe... Io temo...
Crudel da me che brami? È dunque poco
quanto ho sofferto? Ancor tu vuoi ch'io senta
tutto il dolor d'una partenza amara?
Lo sento sì, non dubbitarne, il pregio
d'esser forte m'hai tolto. Invan sperai
lasciarti a ciglio asciuto. Ancora il vanto
del mio pianto volesti, ecco il mio pianto.
Chi sa se più ci rivedremo e quando.
non divida per sempre i nostri affetti.
E nell'ultimo addio tanto ti affretti?
al partir di costei prova il mio core!
qualche parte usurpar de' miei pensieri
aver pietà d'un'infelice alfine
debolezza non è. (In atto di partire)
l'audacia tua ma non so poi se ai detti
dove ho tante diffese e tu sei solo
non paresse viltade, or ne faresti
generosi riguardi Utica unisce
nell'uscir ch'io farò da queste mura
della fé di Catone o della mia
illeso tornerai ma in quelle poi
men sicuro sarai forse da noi.
tanta virtù dimostri e tanto sdegno?
a Marzia amante, al genitor sì caro?
la siegui, la raggiungi, ella s'invola
del padre all'ira intimorita e sola.
deggio aprirti la strada. Andiam.
è più grave del mio. Vanne.
manco al dover se qui ti lascio.
Marzia a salvare, io nulla temo, è vana
Ammiro il tuo gran cor. Tu del mio bene
al soccorso m'affretti, il tuo non curi
rival confidi al tuo rivale istesso.
or che Marzia abbandono ed or che il fato
mi divide da lei, non so qual pena
incognita finor m'agita il petto.
No, fra le cure mie luogo non hai,
se a più nobil desio servir non sai.
È questo amici il luogo ove dovremo
la vittima svenar. Fra pochi istanti
Cesare giungerà. Chiusa è l'uscita
per mio comando, onde non v'è per lui
via di fuggir. Voi qui d'intorno occulti
attendete il mio cenno. Ecco il momento (La gente si dispone e si asconde)
sospirato da me. Vorrei... Ma parmi
certamente il tiranno. Aita o dei.
ogni oltraggio sofferto io vi perdono. (Si asconde)
Ecco d'Iside il fonte. Ai noti segni
questo il varco sarà. Floro. M'ascolti?
Floro. Nol veggio più. Fin qui condurmi
troppo incauto in fidarmi. Eh non è questo
il primo ardir felice. Io di mia sorte
feci in rischio maggior più certa prova. (Nell’entrar s’incontra in Emilia che esce dagli acquedoti)
Ma questa volta il suo favor non giova.
tutta la gloria è mia. Della sua fede
giurata a te contro di te mi valsi
perché impedisse il tuo ritorno al campo.
d'Utica su le porte i tuoi perigli.
Per condurti ove sei, Floro io mandai
con simulato zelo a palesarti
questa incognita strada. Or dal mio sdegno
che insensati gli dei sempre i tuoi falli
soffrissero così? Che sempre il mondo
pianger dovesse in servitù dell'empio
suo barbaro oppressor? Che l'ombra grande
eternamente invendicata errasse?
allor le sue vendette il ciel matura.
Prima voi caderete. (Cava la spada)
Che miro! Allorch'io cerco
te in Utica ritrovo in mezzo all'armi.
La morte mia ma con viltà.
Io fra noi lo ritenni. In questo loco
venne per opra mia. Qui voglio all'ombra
dell'estinto Pompeo svenar l'indegno.
Non turbar nel più bello il gran disegno.
la greca insidia e l'africana frode.
libera d'un tiranno il mondo e Roma.
Non più, parta ciascuno. (La gente d’Emilia parte)
(O generoso core!) (Ripone la spada)
Veggo il fato di Roma in ogni evento. (Parte)
Partì ciascuno. (Guardando intorno)
D'altre insidie hai sospetto?
E ben stringi quel brando.
scegli altro campo e decidiam fra noi.
Ch'io pugni teco! Ah non fia ver. Saria
più infausta la vittoria.
tanto amor, tanto zelo, all'armi, all'armi.
si combatta se vuoi ma non si vegga
contro il padre di Roma armarsi un figlio.
a un seduttor delle donzelle in petto.
che ne dubiti ancora ecco la prova.
si veggono apparir. Non basta Arbace
a incoraggire i tuoi. Se tardi un punto
oggi all'estremo il nostro fato è giunto.
Alla vittoria io volo. (Parte)
eguagliarsi con me. Spesso per gli altri
la tempesta, la calma e l'ombra e il giorno.
Sempre notte è per me, sempre è tempesta.
Vincesti inique stelle. Ecco distrugge
un punto sol di tante etadi e tante
il sudor, la fatica. Ecco soggiace
di Cesare all'arbitrio il mondo intero.
Dunque, chi 'l crederia! per lui sudaro
i Metelli, i Scipioni? Ogni romano
tanto sangue versò sol per costui?
E l'istesso Pompeo sudò per lui?
Misera libertà, patria infelice,
ingratissimo figlio! Altro il valore
da soggiogar che il Campidoglio e Roma.
trionfar di Catone. E se non lice
viver libero ancor, si vegga almeno
spirar con me la libertà latina.
ardisci ancor di presentarti ingrata?
lasciar potresti in servitù sì dura?
Che crudeltà! Deh ascolta
Perdono o padre, (S’inginocchia)
caro padre pietà. Questa che bagna
di lagrime il tuo piede è pur tua figlia.
Guardami una sol volta e poi mi svena.
Se vuoi che l'ombra mia vada placata
al suo fatal soggiorno, eterna fede
della patria e del mondo eterno sdegno.
l'animo avverso. Ah da costei lontano
tutto farò. Vuoi che ad Arbace io serbi
eterna fé? La serberò. Nemica
di Cesare mi vuoi? Dell'odio mio
(Oh dio!) Su questa man lo giuro.
gli ultimi amplessi miei figlia infelice.
Son padre alfine e nel momento estremo
la mia fortezza. Ah non credea lasciarti
Non seduca quel pianto il mio valore.
Deh serbatemi o numi il padre mio.
non è tutto valor. La sorte ancora
ha parte ne' trionfi. Il proprio vanto
del vincitore è il moderar sé stesso
né incrudelir su l'inimico oppresso.
il perdonar non già. Questa è di Roma
domestica virtù. Se ne rammenti
oggi ciascun di voi. D'ogni nemico
risparmiate la vita e con più cura
a me, alla patria, all'universo, a voi.
Cesare non temerne. È già sicura
la salvezza di lui. Corse il tuo cenno
l'estremo fato accompagnare anch'io.
Ah qual oggetto! Ingrato (A Cesare)
va', se di sangue hai sete, estinto mira
l'infelice Catone. Eccelsi frutti
del tuo valor son questi. Il più dell'opra
ti resta ancor. Via quell'acciaro impugna
la disperata figlia unisci al padre. (Piange)
Volontario morì. Catone oppresso
rimase, è ver, ma da Catone istesso.
la grand'alma di Bruto in qualche petto.
Emilia io giuro ai numi...
cura di vendicarci; assai lontano
forse il colpo non è; per pace altrui
l'affretti il cielo e quella man che meno
credi infedel, quella ti squarci il seno.
Tu Marzia almen rammenta...
che son per te d'ogni speranza priva,
orfana, desolata e fuggitiva.
giurai d'odiarti e per maggior tormento
che un ingrato adorai pur mi rammento.
Quando trionfi ogni perdita è lieve.
i giorni di Catone il serto, il trono,
ripigliatevi o numi il vostro dono. (Getta il lauro)