Metrica: interrogazione
876 endecasillabi (recitativo) in Siroe P1 
che del regno io son padre; io deggio a voi
la tenerezza mia ma deggio al regno
riconosca la Persia un degno erede.
Oggi un di voi sia scelto e quello io voglio
e meco il freno a regolarne apprenda.
che m'aggravi le luci il sonno estremo
potrò veder sì glorioso il figlio
giunga la gloria ad oscurar del padre.
la mia sorte dipende.
                                         E in qual di noi
il più degno ritrovi?
                                       Eguale è il merto.
la giovanile etade in lui mi spiace.
Ma i difetti d'entrambi il tempo e l'uso
a poco a poco emenderà. Fra tanto
la mia scelta fra voi gli animi accenda.
giuri ciascun di tolerarla in pace
serbar senza lagnarsi ossequio e fede.
                Pronto ubbidisco. (Il re son io).
cui tutti deve i pregi suoi natura
porgere al nuovo rege il primo omaggio.
s'io non adempio il giuramento intero,
splenda sempre per me torbido e nero».
Siroe t'accosta e dal minor germano
ubbidienza impara.
                                      Ei pensa e tace.
Perché tardi? Che pensi?
                                                E vuoi ch'io giuri!
abbastanza m'offende. E quali sono
i vanti onde Medarse aspiri al trono?
di quanto lo prevenne il nascer mio.
già gl'insulti a soffrir d'empia fortuna,
i suoi primi vagiti entro la cuna.
Siroe finora i tuoi trionfi accrebbe.
mi costi la tua gloria. Io sotto il peso
gemea della lorica in faccia a morte
fral sangue ed il sudore ed egli intanto
tra gli amplessi paterni i giorni oscuri.
Padre sai tutto questo e vuoi ch'io giuri?
So ancor di più. Fin del nemico Asbite
amasti a mio dispetto e mi rammento
nel dì ch'io tolsi a lui la vita e 'l regno.
chi sa fin dove il tuo furor giungesse.
quel cieco amor che a me ti rende ingiusto.
gli ordini di natura. Il vegga in trono
dettar leggi la Persia; e me fra tanto
imprimer vegga in su l'imbelle mano
baci servili al mio minor germano.
in aiuto agli oppressi. Egli è secondo
d'anni e di merti e ci conosce il mondo.
temerario t'inoltri! Io voglio...
                                                        Ah padre
non ti sdegnar, a lui concedi il trono,
basta a me l'amor tuo.
                                          No, per sua pena
voglio che in questo dì suo re t'adori,
voglio oppresso il suo fasto e veder voglio
qual mondo s'armi a sollevarlo al soglio.
fissar Medarse in sul mio volto i lumi?
Siroe al suo re? Sai che de' giorni tuoi
cerca di meritar la vita in dono.
a parlar da monarca, in su la fronte
la corona paterna ancor non hai.
rimane ancor di questo giorno assai.
le fraterne contese. In sì bel giorno
Seleucia vi rivegga e non rivali.
tutto sopporto e m'affatico invano.
Come finge modestia!
                                          È a me palese
l'umiltà di Medarse.
                                       Ah caro Idaspe
d'insultar simulando.
                                         Il senti amico? (Ad Emira)
vedilo al volto acceso, al guardo bieco.
Parti, non l'irritar, lasciami seco.
Taci, non mi scoprir, chiamami Idaspe.
dal padre ingiusto.
                                    Io già l'intesi e intanto
stupido e lento in un letargo indegno
quasi inerme fanciullo armi non trova
onde contrasti al suo destin crudele
che infecondi sospiri e che querele.
Tutto potresti. A tuo favor di sdegno
arde il popol fedele, un colpo solo
ed unisce alla tua la mia vendetta.
Che mi chiedi mia vita?
                                              Un colpo io chiedo
necessario per noi. Sai quale io sia?
l'indica principessa Emira sei.
Ma quella io sono a cui da Cosroe istesso
Asbite il genitor fu già svenato.
che sotto ignoto ciel priva del regno
erro lontan da le paterne soglie
per desio di vendetta in queste spoglie.
nella regia t'avanzi e giungi a tanto
che di Cosroe il favor tutto possiedi.
puoi rammentarti e la vendetta e l'ira?
Ama Idaspe il tiranno e non Emira.
ch'io voglio la sua morte.
                                               Ed io potrei
e coll'orror d'un parricidio in volto?
veder del padre mio l'ombra negletta,
girarmi intorno e domandar vendetta.
posar dell'uccisore al figlio accanto?
stringer la destra mia Siroe già sai
che devi oprar.
                              Non lo sperar già mai.
è già pronto altro braccio. In questo giorno
compir l'opra si deve; e sono io stessa
premio della vendetta. Il colpo altrui
se la tua destra prevenir non osa,
non salvi il padre e perderai la sposa.
que' sensi onde addolcivi il mio dolore.
e fingi a me che ti conduca amore.
finché Cosroe fu padre, or ch'è tiranno
vendicar teco volli i torti miei
né il figlio in te più ritrovar credei.
Parricida mi brami! E sì gran pena
merta l'ardir d'averti amata!
                                                      Assai
m'è palese il tuo cor, no che non m'ami.
                       Ecco Laodice, ella che gode
l'amor tuo lo dirà.
                                   Soffro costei
sol per Cosroe che l'ama. In lei lusingo
un possente nemico.
                                       Alfin giungesti
a consolar, Laodice, un fido amante.
ei sospirò per te.
                                 L'afferma Idaspe,
il crederò.
                     Ti dirà Siroe il resto.
(Che nuovo stil di tormentarmi è questo).
prence illustre il tuo cor?
                                               Per te sicuro
è l'amor suo.
                          Per lei! (Piano ad Emira)
                                          Taci spergiuro. (Piano a Siroe)
Sai che un fido amatore avvampa e tace.
tradiscon le pupille. Ed ei né meno
fissa un guardo al mio volto; anzi confuso
stupidi fissa in terra i lumi suoi.
Direi che disapprova i detti tuoi.
Siroe tu non conosci, io lo conosco.
Non è vero idol mio. (Piano ad Emira)
                                        Sì traditore. (Piano a Siroe)
taccia non ha ma se v'è taccia in lui
sai ch'è l'ardir, non la modestia.
                                                           Amore
(Che nuovo stil di tormentarmi è questo).
Meglio è lasciarvi in pace. a' fidi amanti
ogn'altra compagnia troppo è molesta.
un gran timor ch'ei non m'inganni.
                                                                 Affatto
condannar non ardisco il tuo sospetto.
non si teme abbastanza, il so per prova.
Rara in amor la fedeltà si trova.
Siroe non parli? Or di che temi? Idaspe
più presente non è; spiega il tuo foco.
scorda un amor ch'è tuo periglio e mio.
giunge a scoprir...
                                   Non paventar di lui,
nulla saprà.
                        Ma Idaspe...
                                                 Idaspe è fido
Non è sempre d'accordo il labro e il core.
s'altra ragion non v'è per cui si ponga
Altre ancor ve ne son. Laodice addio.
Senti. Perché tacerle?
                                         Oh dio, risparmia
a me il rossor di palesarle.
                                                 E vuoi
sì dubbiosa lasciarmi? Eh dille o caro.
(Che pena). Io le dirò... No no, perdona,
deggio partir.
                           Nol soffrirò, se pria
l'arcano non mi sveli.
                                         Un'altra volta
tutto saprai.
                         No no.
                                        Dunque m'ascolta.
Ardo per altra fiamma, io son fedele
non t'amerò, non t'amo e non t'amai;
cangiar voglia per te, lo speri invano.
Mi sei troppo importuna. Ecco l'arcano.
quanto mi fai pietà, Siroe è un ingrato.
(Oh dio tutto ascoltò). Che parli, o prence?
Eh non celarti a me, ti sono amico
l'ingiustizia detesto. Una donzella
importuna chiamar perché l'adora!
femina della Persia.
                                      Ed io lo soffro
né posso vendicarmi.
                                         A Siroe giova
la tua semplicità. Ma tu potresti
fino a chieder pietà.
                                       Come?
                                                       Dovresti
Cosroe irritar contro di lui, fingendo
che Siroe ad onta sua ti chiede amore.
Dovresti oprar che Arasse il tuo germano
gli nieghi ogni sostegno e far ch'ei resti
da tutti abandonato, allor vedrai
mendicar quell'ingrato il tuo favore.
supplice a me verrà.
                                       Ma giunge Arasse.
Ricordati...
                       Non più; so come io deggio
vendicar i miei torti.
                                        (In quello sdegno
veggo un nuovo soccorso al mio disegno). (Parte)
sollecito io ne vengo, il re sdegnato
ed in Siroe un eroe conserva al regno.
Siroe un eroe! T'inganni; ha un'alma in seno
stoltamente feroce, un cor superbo
insano ammirator, ch'altri non cura
il mondo al suo valor crede dovuto.
Che insolita favella! E credi...
                                                       E credo
necessaria per noi la sua rovina.
non t'opporre alla sorte.
                                             E chi mai fece
Penetrar questo arcano a te non lice.
il tuo genio volubile e leggiero.
Costanza è spesso il variar pensiero.
l'amicizia, il dover. Chi sa qual sia
la taciuta cagione ond'è sdegnata.
Sarà ingiusta o leggiera. È stile usato
saria più caro il vostro amore a noi
se costanza e beltà s'unisse in voi.
si tolga il genitor, con questo foglio
di mentiti caratteri vergato
ma si celi l'autor. Se il primo io taccio
tradisco il padre e se il secondo io svelo
sacrifico il mio ben. Così... Ma parmi (Posa il foglio)
che il re s'inoltri a questa volta, oh dio
da me l'avviso ed a scoprirgli il reo
m'astringerà. Meglio è celarsi. Oh numi
Emira, il padre e l'innocenza mia.
prenda leggi il mio cor! Troppo sarei
stupido in tolerarlo. E quale o cara (Vedendo Laodice)
insolita ventura a me ti guida?
Vengo a chieder difesa, in questa regia
non basta il tuo favor perch'io non tema.
V'è chi m'insulta e mi minaccia.
                                                            A tanto
chi potrebbe avvanzarsi?
                                               E il mio delitto
è l'esser fida a te.
                                  Scopri l'indegno
e lascia di punirlo a me la cura.
di sedurre il mio amor, perch'io ricuso
minaccia il viver mio.
                                          (Numi, che sento!)
esser colpa non può. Siroe è l'audace.
qual uopo ho di soccorso; imbelle e sola
contro un figlio real che far poss'io.
(Tutto il mondo congiura a danno mio).
rivale ho da soffrir! Tergi i bei lumi,
rassicurati o cara. Ah Siroe ingrato (Passeggiando)
ancor questo da te! Cosroe non sono
s'io non farò... Basta... Vedrai.
                                                        (Che pena!)
il prevenir l'accusa).
                                       Indegno figlio! (Siede; e s’avvede del foglio, lo prende e legge da sé)
nel tuo cor tanto affanno avrei... (Qual foglio
stupido ei legge e impallidisce!)
                                                            Oh numi
può minacciarmi il ciel, che giorno è questo! (S’alza)
Che ti affligge o signor?
                                             Padre io ti miro
caro Medarse e innorridisci.
                                                     (Un foglio!)
Che mai sarà!
                            «Cosroe, chi credi amico (Legge)
insidia la tua vita. In questo giorno
il colpo ha da cader. Temi in ciascuno
il traditor. Morrai, se i tuoi più cari
della presenza tua tutti non privi.
Chi ti avvisa è fedel, credilo e vivi».
Gelo d'orrore!
                            E qual pietà crudele
è il salvarmi così? Da mano ignota
mi vien l'avviso e mi si tace il reo.
gli amici, i figli? In ogni tazza ascosa
crederò la mia morte? In ogni acciaro
la minaccia crudel vedrò scolpita?
E questo è farmi salvo? E questa è vita?
(Misero genitor!)
                                  (Non si trascuri
sì opportuna occasion).
                                            Medarse tace.
Laodice non favella?
                                       Io son confusa.
S'io non parlai finor volli al tuo sdegno
un reo celar che ad ambi è caro, alfine
quando giunge all'estremo il tuo cordoglio
non ho cor di tacerlo. È mio quel foglio.
(Ah mentitor).
                             L'empio conosci e ancora
l'ascondi all'ira mia?
                                        Padre adorato (S’inginocchia)
perdona al traditor, basti che salvi
siano i tuoi giorni. Ah non voler nel sangue
di questo reo contaminar la mano.
Chi t'insidia è tuo figlio e mio germano.
(Che tormento è tacer).
                                             Sorgi, a Medarse
chi l'arcano scoprì?
                                     Fu Siroe istesso.
(Chi 'l crederebbe!)
                                      Ei mi volea compagno
al crudel parricidio. Invan m'opposi,
la tua morte giurò, perciò Medarse
in quel foglio scoprì l'empio desio.
Medarse è un traditor. Quel foglio è mio! (Si scopre)
                    (Che mai sarà!)
                                                   Siroe nascoso
nelle mie stanze?
                                  Il suo delitto è certo.
il desio di salvarti. Un core ardito
ti desidera estinto e sei tradito.
Chi tradisce il mio re! Per sua difesa
Solo Idaspe mancava a tormentarmi.
mi serba il ciel.
                              (Che inaspettati eventi!)
Donde l'avviso? È noto il reo? (Rende il foglio a Cosroe)
                                                        Medarse
t'inganna, Idaspe, io palesai l'arcano.
l'insidiator?
                         Dirti di più non deggio.
di mentita virtù copri il tuo fallo?
A chi giovar pretendi? Hai già trovato
l'offensore, l'offeso. Ei non è salvo,
e vanti per tua gloria un foglio indegno?
perdon ti chiedo, è il mio dover che parla.
È mio proprio interesse il tuo periglio.
(Che ardir!)
                         Quanto ti deggio amato Idaspe.
Impara ingrato impara. Egli è straniero,
tu sei mio sangue; il mio favore a lui,
a te donai la vita; e pure ingrato
ei mi difende e tu m'insidi il trono.
Difendermi non posso e reo non sono.
L'innocente non tace, io già parlai.
Via che pensi? Che fai? Chi giunse a tanto
può ben l'opra compir. Tu non rispondi?
So perché ti confondi. Hai pena e sdegno
tutta l'infedeltà mi sia palese.
perciò né meno in volto osi mirarmi.
Solo Idaspe mancava a tormentarmi.
giustifica l'accusa.
                                   Io non mentisco.
Siroe sarà.
                      Ma questo è troppo, Idaspe.
Non ti basta? Che vuoi?
                                             Vuo' che tu assolva
da' sospetti il mio re.
                                        Che dir poss'io?
Di' che il tuo fallo è mio. Di' pur ch'io sono
complice del delitto, anzi che tutta
è tua la fedeltà, la colpa è mia.
Capace ancor di questo egli saria. (A Cosroe)
Ma lo sarebbe invan. Facile impresa
l'ingannarmi non è. So la tua fede.
Così fosse per te di Siroe il core.
Lo so ch'è un traditore. Ei non procura
Difendermi non posso e reo non sono.
recar quel foglio e si sgomenta e tace
Tutti reo mi volete e reo non sono.
Olà s'osservi il prence.
                                           A la tua cura
io veglierò.
                       Quand'hai tant'alme fide
paventi un traditor?
                                       Troppo t'affanni.
Chi sa qual sia fedele e qual m'inganni.
E puoi temer di me?
                                        No caro Idaspe.
al tuo bel cor la sicureza mia.
ed in Cosroe difendi un re che t'ama.
commetter non potevi il tuo riposo,
del mio dover geloso il sangue stesso
io verserò signor, quando non basti
Trovo un amico allor che perdo un figlio.
in Siroe un traditor?
                                        Tanto infedele
lo provedesti e temerario tanto?
d'insultar chi non v'ode? Alfin dovrebbe
più rispetto Medarse ad un germano,
Non sempre delinquente è un infelice.
                      Che difesa!
                                             E tu finora
non l'insultasti?
                               Or qual cagion ti muove
A me lice insultarlo e non a voi.
Così presto ti cangi? Or lo difendi,
A voi par ch'io mi cangi e son l'istesso.
L'istesso! Io non t'intendo.
                                                  Eh non produce
sì diversa favella un sol pensiero.
So che strano vi sembra e pure è vero.
Gran mistero in que' detti Idaspe asconde.
Semplice e tu lo credi? A te dovrebbe
esser nota la corte. È di chi gode
del principe il favor questo il costume.
sembrano arcani ascosi. Allor che il volgo
gl'intende men, più volontier gli adora,
quel che teme o desia ma sempre invano,
che v'è spesso l'enigma e non l'arcano.
d'Idaspe i sensi. È ver ch'io non gl'intendo
cangiando al par di lui voglia e pensiero
né so più quel che temo e quel che spero.
Gran cose io tento e l'intrapreso inganno
mostra il premio vicino. In mezzo a tanti
perigliosi tumulti io non pavento.
Non si commetta al mar chi teme il vento.
ma lascia conseguita il pentimento.
del periglio di Siroe in mezzo al core
il rimorso e l'orrore.
                                       Alfin Laodice
sei vendicata; a me soffrir conviene
la pena del tuo fallo.
                                      Amato prence
che non ho cor di favellarti.
                                                   Avesti
però cor d'accusarmi.
                                         Un cieco sdegno
persuase l'accusa. Ah tu perdona,
perdona o Siroe un violento amore.
Mi punisce abbastanza il mio dolore.
Non soffrirai de la menzogna il danno,
Saprà Cosroe ch'io fui...
                                             La tua ruina
non fa la mia salvezza. Anche innocente
di questa colpa, io di più grave errore
già son creduto autor; taci, potrebbe
destar la tua pietà nuovi sospetti
secreta intelligenza.
                                      E quale ammenda
può farmi meritare il tuo perdono?
prescriver mi vorrai pronta son io
ma poi scordati o caro il fallo mio.
Più nol rammento e se ti par che sia
la sofferenza mia di premio degna,
più non amarmi.
                                 Oh dio, come potrei
lasciar sì dolci affetti in abandono.
Questo da te domando unico dono.
lungi dagl'occhi tuoi, dimmi ch'io taccia,
Tutto soffro per te ma ch'io non t'ami
troppo crudel mi chiedi e invan lo brami.
Amandomi che speri?
                                          Altro non spero
l'idea di chi m'accende in mezzo al core
d'una rara costanza il pregio almeno.
a serbar tanta fede a chi ti sdegna?
placar dell'idol mio.
                                      Fermati indegno.
Ancor pago non sei?
                                       Forse ritorni
ad insultar un misero inocente?
a palesar quel che taceva il foglio?
Quel foglio in che t'offese? Io son creduto
reo del delitto e mel sopporto e taccio.
qualor t'insulto? Assicurar procuro
Cosroe della mia fé, più per tuo scampo
che per la mia vendetta.
                                              Ah dunque o cara
fa' più per me. Perdona al padre o almeno
se brami una vendetta apri il mio seno.
Io confonder non so Cosroe col figlio.
Odio quello, amo te, vendico estinto
il proprio genitore.
                                     E il mio, che vive,
per legge di natura anch'io difendo.
dunque tu siegui, io seguirò la mia.
il debito d'entrambi? A noi che siamo
è delitto l'amor, dobbiamo odiarci.
scoprir a Cosroe, io prevenir l'accusa.
Tu scorgere in Emira il più crudele
implacabil nemico, in Siroe io deggio
abborrir d'un tiranno il figlio indegno.
Cominci in questo punto il nostro sdegno. (In atto di partire)
di chiamarmi tuo bene? Unir pretendi
il fido amante ed il crudel nemico
debol nemico ed infedele amante.
A torto l'amor mio...
                                       Taci, l'amore
parlami di vendetta ed io t'ascolto.
Sì, scordarti d'Emira.
                                         Emira addio.
t'appagherò. Del tradimento al padre
vado a scoprirmi autor; la tua fierezza
Sentimi, non partir.
                                       Che vuoi ch'io senta,
lasciami alla mia sorte.
                                            Odi, non giova
né a me né a Cosroe il farti reo.
                                                          Ma basta
per morir innocente. Ascolta, alfine
son più figlio che amante, a me non lice
e vivere e tacer. Tutto palese
al genitor farò, quando non posso
toglierlo in altra guisa al tuo furore.
accusami o t'accusa, a tuo dispetto
il contrario io farò, vedrem di noi
barbara il verserò. L'animo acerbo
pasci nel mio morir. (Cava la spada)
                                        Che fai superbo!
stringi il brando o fellon? Niega se puoi!
Or non v'è chi t'accusi, il guardo mio
non s'ingannò, di' che mentisco anch'io.
Tutto è vero, io son reo, tradisco il padre,
son nemico al germano, insulto Idaspe,
mi si deve la morte. Ingiusto sei
odio il giorno, odio tutti, odio me stesso.
Olà costui s'arresti. (Escono alcune guardie)
                                      Ei non volea
offendermi o signor. Cieco di sdegno
forse contro di sé volgea l'acciaro.
con pietosa menzogna al suo delitto.
tema non era in me.
                                       Taci una volta,
Idaspe taci, il mio maggior nemico
è chi più mi soccorre. Il mio tormento
termini col morir.
                                   Sarai contento.
ti restano infedel.
                                  Mio re, che dici!
è la vita di Siroe, ei non ancora
i complici scoprì. Morebbe seco
il temuto segreto.
                                  È vero, oh quanto
deggio al tuo amor, vegliami sempre a lato.
corri così, non può tradirti Idaspe?
può celarsi il nemico, ah non fidarti.
Chi sa l'empio qual è.
                                         Chetati e parti.
(Pensoso è il re). (A parte da sé)
                                  (Per tante prove e tante
so che il figlio è infedel ma pur que' detti...) (A parte da sé)
che Siroe suggerì). (Come sopra)
                                     (Tradirmi Idaspe
per qual ragion!) (Come sopra)
                                  (S'ei di mia fé paventa
perdo i mezzi al disegno. Or non m'osserva,
siam soli, il tempo è questo). (Come sopra)
                                                       (Un reo l'accusa
per render forse il fallo suo minore). (Come sopra)
(La vittima si sveni al genitore). (Snuda la spada per ferir Cosroe)
                  (Oh dei!)
                                      Perché quel ferro Idaspe?
Per deporlo al suo piè, v'è chi ha potuto
farlo temer di me. Troppo geloso
nel più vivo del cor Siroe m'offese.
eccomi disarmato e prigioniero. (A Cosroe)
Che fedeltà.
                        Forse il german procura
divider la sua colpa.
                                      Idaspe, torni
per mia difesa al fianco tuo la spada.
Perdonami o mio re, quando è in periglio
d'un sovrano la vita ha corpo ogn'ombra.
quell'idea che m'oltraggia e al fianco mio
senza taccia d'error torni l'acciaro.
Ubbidirti non deggio.
                                          Io tel comando.
Così vuoi, non m'oppongo. Almen permetti
ch'io la regia abandoni, acciò non dia
colpa l'invidia all'innocenza mia.
sempre de' giorni miei vegli alla cura.
della fede di tanti a cui commessa
è la tua vita? Io debitor sarei
de la colpa d'ognun; s'io fossi solo...
le più fide tu scegli. A tuo talento
le cambia e le disponi e sia tuo peso
di scoprir chi m'insidia.
                                              Al regio cenno
ubbidirò né dal mio sguardo accorto
potrà celarsi il reo. (Son quasi in porto).
ch'uno stranier così fedel ti sia.
Ma non basta o mio re. Maggior riparo
chiede il nostro destin.
                                           Sarai nel giro
di questo dì tu mio compagno al soglio
non potrà facilmente un folle orgoglio.
Anzi il tuo amor l'irrita. Ha già sedotta
del popolo fedel Siroe gran parte.
Si parla e si minaccia, ah se non svelli
dalla radice sua la pianta infesta
sempre per noi germoglierà funesta.
il rimedio saria; reciso il capo
l'audacia popolare.
                                    Io non ho core.
Anch'io gelo in pensarlo, altro non resta
che appagar Siroe e sollevarlo al trono.
la contesa corona. Andrò lontano
per placar l'ira sua. Se questo è poco
sazialo del mio sangue, aprimi il seno.
render la pace a chi mi diè la vita.
il ciglio inumidir, caro Medarse
vieni al mio sen. Perché due figli eguali
non diemmi il ciel.
                                     Se ricusar potessi
di scemar, per salvarti, i giorni miei,
degno di sì gran padre io non sarei.
È Siroe l'infedel. Vorrei punirlo
ma risolver non so, che in mezzo all'ira
un resto ancor del mio paterno affetto.
giustifica il rigor de la sua sorte.
prence ti mostri allor che in me condanni
del popolo il favor per tuo riparo.
tolerando si vince.
                                   Al merto amica
rade volte è fortuna e prende a sdegno
chi meno a lei che alla virtù si affida.
misera ed innocente esser desia.
che avria nome di colpa. Il volgo suole
giudicar dagli eventi e sempre crede
colpevole colui che resta oppresso.
Mi basta di morir noto a me stesso.
rigorosa virtù, sarà mia cura
toglierti all'ira dell'ingiusto padre.
solleverò per così giusta impresa.
Ma questo è tradimento e non difesa.
Come! Nessuno è teco?
                                            Ho sempre a lato
la crudel compagnia di mie sventure.
le tue felicità. Deve a momenti
a consolarti ei viene.
                                       Or vedi quanto
sventurato son io. Del padre invece
giunse Medarse.
                                Il tuo piacer saria
seco parlar, porresti in uso allora
lusinghe e prieghi e ricoprir con arte
semplice se lo speri, io nol consento.
chi delitto non ha rossor non sente.
Pena in vederti è il sovvenirmi solo
ch'abbia fonte comune il sangue nostro.
Sarà mio merto e la corona e l'ostro.
Veglia Idaspe all'ingresso, e il cenno mio
Laodice attenda.
                                Ubbidirò. (Si ritira in disparte)
                                                     Medarse
             Ch'io parta! E chi difende intanto
signor le mie ragioni.
                                         Io le difendo.
solo esser voglio.
                                E puoi fidarti a lui?
Più oltre non cercar. Vanne.
                                                    Ubbidisco.
                   Taci, Medarse, e t'allontana.
(Mi cominci a tradir sorte inumana).
Io vengo qual mi vuoi giudice o padre.
fin dove giunga la clemenza mia.
Sosterrò teco il mio real decoro. (Siede)
Il giudice non temo e il padre adoro. (Siede)
ubbidito un mio cenno? Infin ch'io parlo
taci e mostrami in questo il tuo rispetto.
Finché vuoi tacerò, così prometto.
(Che dir vorrà!)
                                Di mille colpe reo
Siroe tu sei. Per questa volta soffri
che le rammenti. Un giuramento io chiedo
per riposo del regno e tu ricusi.
di mia pietà. Mi fa palese un foglio
che v'è tra' miei più cari un traditore
or da un lato, or dall'altro erra dubbioso
io veggo te nelle mie stanze ascoso.
scopre i tuoi falli...
                                    E creder puoi veraci...
Serbami la promessa, ascolta e taci.
(Misero prence).
                                 Ognun di te si lagna.
Hai sconvolta la regia, alcun sicuro
dal tuo orgoglio non è. Medarse insulti,
tenti Laodice e la minacci. Idaspe
infin sugli occhi miei svenar procuri
né ti basta. I tumulti a danno mio
ne' popoli risvegli...
                                      Ah son fallaci...
Serbami la promessa, ascolta e taci.
quasi sforzato a condannarti io sono
e pur tutto mi scordo e ti perdono,
torniam figlio ad amarci, il reo mi svela
o i complici palesa, un padre offeso
da l'offensor che pentimento e fede.
Ah mi scoprisse mai!)
                                          Parlar non posso.
per la vita del reo, paventi invano.
Se quel tu sei, nel confessarlo al padre
te stesso assolvi e ti fai strada al trono.
pur che noto mi sia, salvo l'indegno.
Ecco se vuoi la real destra in pegno.
siano dal tuo castigo i tradimenti
che il tuo cenno, signor, Laodice attende.
                    Lo so, parti.
                                            Dirò fra tanto...
Di' ciò che vuoi.
                               T'ubbidirò fedele.
(Perfido non parlar). (A Siroe)
                                         (Quanto è crudele).
i miei sconvolti affetti, or perché taci?
Perché quel turbamento?
                                                Oh dio.
                                                                T'intendo.
resister non sapesti. In questo ancora
t'appagherò, già ti prevenni, io svelo
la debolezza mia, Laodice adoro,
con mio rossore il dico e pure io voglio
cederla a te, sol dalla trama ascosa
assicurami o figlio e sia tua sposa.
Forse non crederai...
                                       Chiedea Laodice
importuna l'ingresso, acciò non fosse
a te molesta allontanar la feci.
                  Sì mio re.
                                       Vanne e l'arresta.
Vado. (Mi vuoi tradir). (A Siroe)
                                             (Che pena è questa!)
Parla. Laodice è tua, di più che brami.
Sdegno Laodice e favellar non deggio.
morir da traditor come vivesti.
ceder ti voglio e non ti basta ancora?
è il tuo voto, lo so. Saziati indegno.
già teco io son, via ti sodisfa appieno,
disarmami inumano e m'apri il seno.
in periglio lasciarti a me non lice,
eccomi al fianco tuo.
                                       Venga Laodice. (Emira parte)
punisca il ciel...
                              Non irritar gli dei
Ecomi a' cenni tuoi.
                                      Siroe m'ascolta.
ch'offro uno scampo, abbi Laodice e il trono,
se vuoi parlar, ma se tacer pretendi
in carcere crudel la morte attendi.
Resti Idaspe in mia vece. A lui confida
l'autor del fallo; in libertà ti lascio
pochi momenti, in tuo favor gli adopra.
Ma se il fulmine poi cader vedrai
la colpa è tua, che trattener nol sai.
(Che risolver degg'io!)
                                           Felici amanti
delle vostre fortune o quanto io godo.
i figli prenderan forme leggiadre
e se avran fedeltà simile al padre.
(E mi deride ancor).
                                        Secondi il cielo
il lieto augurio; ei però tace e parmi
irresoluto ancor.
                                Parla? Saria (A Siroe)
stupidità se più tacessi.
                                             O dei
lasciami in pace.
                                 Il re sai che t'impose
il carcere o Laodice.
                                      Or che risolvi?
Per me risolva Idaspe, il suo volere
sarà legge del mio. Fra tanto io parto
l'esito ad aspettar della mia sorte.
Ma prence io non saprei...
                                                 Sapesti assai
(Provi l'istessa pena Emira ancora).
(A costei che dirò!)
                                     Da' labri tuoi
il riposo d'un regno, il mio contento.
le nozze accettaria.
                                    Sarei felice.
Stringer per opra tua.
                                          Lo speri invano.
                 Posso svelarti un mio segreto?
perdonami l'ardire, io vivo amante.
mirar senza avvampar quell'aureo crine,
due rilucenti stelle. Ah se non credi
guarda e vedrai che mi rosseggia in volto.
muto finor mi rese.
                                      Ascolta Idaspe.
Così crudele, oh dio.
                                       S'è ver che m'ami,
servi agli affetti miei. L'amato prence
con virtù di te degna a me concedi.
Oh questo no, troppa virtù mi chiedi.
gl'innocenti difende.
                                        E se la speme
me pietosa ti finge ella t'inganna.
Tanto meco potresti esser tiranna?
insegna a me la tirannia.
                                               Pazienza.
T'odierò finch'io viva e non potrai
Saranno almen comuni i nostri affanni.
per odio e per amore or lascio, or prendo
ch'io me stessa talor né meno intendo.
Odio il tiranno ed a svenarlo io sola
mille non temerei nemiche squadre;
ma penso poi che del mio bene è padre.
d'esser io la cagion del suo periglio;
ma penso poi che del tiranno è figlio.
è infelice nell'odio e nell'amore.
pietosa a me per lui parlò natura.
che, Siroe ucciso, il popolo ribelle
non voglia vendicarlo e quando speri
i tumulti sedar non sian più fieri?
previeni i sediziosi. A lor si mostri
ma reciso del figlio il capo indegno.
quando manca il fomento.
                                                 Innanzi a questo
violento rimedio, altro possiamo
men funesto tentarne.
                                          E quale? Ho tutto
posto in uso finora. Idaspe ed io
sudammo invano. Il figlio contumace
morto mi vuol, ricusa i doni e tace.
Dunque degg'io...
                                  Sì vanne, è la sua morte
necessaria per me. Pronuncio Arasse
il decreto fatal ma sento, oh dio,
gelarsi il core, inumidirsi il ciglio.
Parte del sangue mio verso nel figlio.
ma pure ubbidirò. Di Siroe amico
io sono, è ver, ma son di te vassallo
che al dover di vassallo ogn'altro cede. (Parte)
mi fu dolce la vita e dolce il regno.
costa al mio cor così crudel ferita
grave il regno è per me, grave è la vita.
Mio re che fai? Freme a la regia intorno
un sedizioso stuol che Siroe chiede.
L'avrà, l'avrà. Già d'un mio fido al braccio
la sua morte è commessa e forse adesso
fugge l'anima rea, così gliel rendo.
l'offesa maestà, l'amore offeso,
Ah che ingannato sei. Sospendi il cenno.
il prence non t'offese, io t'ingannai.
chiesi da Siroe e il suo disprezzo io volli
co l'accusa punir.
                                 Tu ancor tradirmi?
questa s'uccida e l'innocente viva.
Innocente chi vuol la morte mia!
è reo perché ti piacque e vuo' che mora.
La vita d'un tuo figlio è sì gran dono
se spero d'ottenerlo! A che giovate
mai non m'amasti e fu l'amore inganno.
Purtroppo anima ingrata io t'adorai.
sollevarti volea né tutto ho detto.
e pur, chi 'l crederia, nell'alma io sento
che sei gran parte ancor del mio tormento.
cedi o signor, sia salvo il prence e poi
uccidimi se vuoi, sarò felice
se il mio sangue potrà...
                                             Parti Laodice.
colpa gli accresci e il tuo pregar m'irrita.
del mio destino il barbaro rigore;
tutto soffrir saprò.
                                   Rendi o signore
libero il prence al popolo sdegnato.
la plebe insana e s'ode in un momento
di Siroe il nome in cento bocche e cento.
Tanto crebbe il tumulto!
                                              Ogn'alma vile
divien superba. In mille destre e mille
splendono i nudi acciari e fuor dell'uso
i tardi vecchi, i timidi fanciulli
somministrano l'armi ai più feroci.
l'impeto si sospende, io più nol temo.
corse a svenar per mio comando il figlio.
E potesti così... Rivoca oh dio
nunzio n'andrò di tua pietade io stesso.
Porgimi il regio impronto.
                                                  Invan lo chiedi.
La sua morte mi giova.
                                            Ah Cosroe, e come
così da te diverso! E dove or sono
tante virtù già tue compagne al trono?
Il mondo che dirà? Fosti finora
colà del Nilo in su le foci estreme
e l'Indo e l'Etiopo ammira e teme.
Quanto perdi in un punto! Ah se ti scordi
un fatto sol tutti i tuoi preggi oscura.
Ma Siroe è un traditor.
                                            Ma Siroe è figlio.
l'arte di trionfar sì bene apprese.
la delizia di Cosroe e la speranza.
partisti armato o vincitor tornasti
gl'ultimi e i primi baci erano i suoi.
al tuo collo stendea la mano imbelle
temea dell'elmo o le tremanti piume.
Che mi rammenti!
                                     Ed or quel figlio istesso,
quello s'uccide. E chi l'uccide? Il padre.
Oh dio più non resisto.
                                            Ah se alcun premio
merita la mia fé, Siroe non mora.
trattener non potrai la sua ferita.
Prendi, vola a salvarlo. (Gli dà l’impronto regio)
                                            Io torno in vita.
Arasse! O ciel!
                             Ah che turbato ha il ciglio.
Vive il prence?
                              Non vive.
                                                  Oh Siroe!
                                                                      Oh figlio!
Ei cadde al primo colpo e l'alma grande
soltanto s'arrestò finché mi disse:
«Difendi il padre» e poi fuggì dal seno.
Deh soccorimi Idaspe, io vengo meno.
Tu barbaro, tu piangi! E chi l'uccise?
Scelerato, chi fu? Di chi ti lagni?
mentre palpita ancor svelli quel core.
mostro di crudeltà, furia d'Averno,
vergogna della Persia, odio del mondo.
Così mi parla Idaspe! È stolto o finge!
per trafiggerti il cor.
                                       Che mai ti feci?
per te padre non ho, non ho più trono,
io son la tua nemica, Emira io sono.
                      O meraviglia!
                                                  Adesso intendo
chi mi sedusse il figlio.
                                            È ver, ma invano
di sedurlo tentai. Per mia vendetta
e per tormento tuo perfido il dico.
dall'odio mio, ch'ei ti recò quel foglio,
che innocente morì, ch'ogni sospetto,
va', pensaci e se puoi riposa in pace.
ma fra ceppi costei.
                                      Pronto ubbidisco.
disarmo il fianco mio, prendi. T'inganni (Dà la spada ad Arasse, quale presala entra e poi esce con guardie)
se credi spaventarmi. (A Cosroe)
                                          Ah parti ingrata.
l'odiosa compagnia troppo m'affligge.
basta la compagnia del tuo delitto.
Ove son! Che m'avvenne! E vivo ancora!
Consolati signor. Pensa per ora
a conservarti il vacillante impero,
pensa alla pace tua.
                                     Pace non spero.
ho la sorte nemica. Il cielo istesso
astri non ha per me che sian felici
ed io sono il peggior de' miei nemici.
Ritorni il prigioniero. I miei disegni
secondino le stelle. Olà partite. (Le guardie conducono fuori Emira e al comando d’Arasse partono)
Che vuoi d'un empio re più reo ministro,
forse svenarmi?
                                No vivi e ti serba
illustre prencipessa al tuo gran sposo,
Siroe respira ancor.
                                      Come!
                                                     La cura
d'ucciderlo accettai ma per salvarlo.
pentito dell'error?
                                   Parve pietoso
perché più nol temea, se vivo il crede
diverebbe timor. Cede alla tema
solo dall'altrui danno in noi si desta.
E nol salvasti ancor?
                                       Prima degg'io
per scorgerlo sicuro ove lo chiede
il popolo commosso. Or che dal padre
agio bastante a maturar l'impresa.
Non sbigottirti, io partirò, tu resta
i disegni a scoprir del prence infido.
Fidati, non temer.
                                   Di te mi fido.
Che ti turba o signor?
                                          Tutto è in tumulto
(Ignota ancor gli son). Dunque n'andiamo
ad opporci ai ribelli.
                                       Altro soccorso
chiede il nostro periglio, a Siroe io vado.
l'indegno autor de' nostri mali?
                                                           Eh tanto
stolto non son, corro a svenarlo.
                                                          Intesi
che già Siroe morì.
                                     Ma per qual mano?
giunse a me la novella e tu nol sai?
                        Le solite saranno
popolari menzogne.
                                      Estinto o vivo
Siroe trovar mi giova.
                                          Io ti precedo.
Idaspe esecutor. (Scopersi assai). (Parte)
m'interrompe il germano, il voglio estinto.
È crudeltà, ma necessaria, e solo
di sì pochi momenti il giro angusto.
Ne' mali estremi ogni rimedio è giusto.
di soffrir l'ira vostra. A che mi giova
innocenza e virtù; s'opprime il giusto,
s'inalza il traditor. Se i merti umani
o regge il caso o l'innocenza è rea.
Arasse non mentì, vive il mio bene.
rigorosi custodi a me si porta?
Quest'impronto real fu la mia scorta.
Come in tua man?
                                    L'ebbi da Cosroe istesso.
scelse te per ministra il genitore
io perdono alla sorte il suo rigore.
Non temete o custodi, il re m'invia.
                  Idaspe è qui! Senza il tuo brando
ti porti in mia difesa?
                                          In su l'ingresso
(Giungesse Arasse). (Guardando per la scena)
                                        Ad insultarmi ancora
qui vien Medarse e in qual remoto lido
posso celarmi a te?
                                     Taci o t'uccido. (Snuda la spada)
la sollecita morte. Ancor sospendi
qualche momento il colpo, ei ne ravvisi
tutto l'orror, potrò sfogare intanto
tu sai ch'è mio nemico e che stringendo
contro di me fin nella regia il ferro
E tanto ho da soffrir.
                                        (Giungesse Arasse). (Come sopra)
che unito a un traditor...
                                              Taci o t'uccido.
Uccidimi crudel. Tolga la morte
tanti ogetti penosi agli occhi miei.
Mori. (Mi trema il cor).
                                             (Soccorso o dei).
un incognito orror che mi trattiene!
Barbaro a che t'arresti?
                                             (E ancor non viene). (Come sopra)
Chi mi rende sì vile!
                                        Impallidisci!
Dammi quel ferro, io svenerò l'indegno,
io svellerò quel core, io solo, io solo
basto di tanti a vendicar gli oltraggi.
Prendi, l'usa in mia vece. (Dà la spada ad Emira)
                                                 A questo segno
ti son odioso?
                           Or lo vedrai, superbo,
Difenditi mia vita, ecco l'acciaro. (Emira dà la spada a Siroe)
Che fai, che dici Idaspe? E mi tradisci
No, più non sono Idaspe, Emira io sono.
i custodi a punir...
                                   Taci o t'uccido.
Arasse, il tuo signor.
                                       Siroe difendo.
la città dal tuo cenno. Andiam, consola
colla presenza tua tant'alme fide.
questi in difesa a te, vieni e saprai
quanto finor per liberarti oprai. (Parte e restano con Siroe le guardie)
Numi, ognun m'abandona.
                                                   Andiamo o caro. (A Siroe)
siegui i miei passi, ecco la via del trono. (Parte)
Ti sieguo idolo mio.
                                      Siroe mi vedi
tradito alfine e disarmato e puoi
vendicar a tua voglia i torti tuoi.
S'ora nol fai, come lo speri? E quando?
Mi basta il tuo rossor, ripiglia il brando.
che la più certa guida è l'innocenza.
se nemico ha il destino, il tutto perde.
benché provi la sorte ognor funesta,
pur la pace de l'alma almen gli resta.
Arrestatevi amici, il colpo è mio.
Ferma Emira, che fai? Padre, io son teco.
                       Empio ciel.
                                              Figlio tu vivi!
morir per tua difesa.
                                        E chi fu mai
che serbò la tua vita?
                                        Io la serbai.
non oppresso il mio re, di più non chiede
il popolo fedel, se il tuo contento
puoi la colpa punir.
                                     Che bella colpa.
               Signor.
                               Del mio fallir ti chiedo
il perdono o la pena.
                                       Anch'io son rea,
vengo al giudice mio; l'incendio acceso
in gran parte io destai.
                                           Siroe è l'offeso.
Nulla Siroe rammenta. E tu mio bene (A Emira)
deponi alfin lo sdegno, ah mal s'unisce
colla nemica mia, la mia diletta,
o scordati l'amore o la vendetta.
Più resister non posso. Io con l'esempio
di sì bella virtù l'odio abbandono.
sia per voi di piacer sempre soggiorno
Siroe sarà tuo sposo.
                                       O lieto giorno. (Siegue l’incoronazione di Siroe)
Ecco Persia il tuo re. Passi dal mio
su quel crin la corona. Io stanco alfine
volontier la depongo, ei che a giovarti
saprà con più vigor soffrirne il peso.

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