Metrica: interrogazione
701 endecasillabi (recitativo) in Didone abbandonata P3 
sdegno non è, non è timor che muove
le frigie vele e mi trasporta altrove.
purtroppo il so, né di sua fé pavento;
quanto fece per me, non sono ingrato.
all'arbitrio dell'onde i giorni miei
mi prescrive il destin, voglion gli dei.
che sembra colpa mia quella del fato.
Se cerchi al lungo error riposo e nido,
la germana, il tuo merto, il nostro zelo.
Riposo ancor non mi concede il cielo.
il lor voler ti palesaro i numi?
non porta il sonno mai suo dolce oblio
del genitor non mi dipinga innante.
«Figlio» ei dice e l'ascolto «ingrato figlio,
che acquistar ti commise Apollo ed io?
opra del tuo valor, Troia rinasca.
Tu 'l promettesti; io nel momento estremo
del viver mio la tua promessa intesi,
a baciar questa destra e mel giurasti.
alla patria, a te stesso, al genitore
qui nell'ozio ti perdi e nell'amore?
tronca il canape reo, sciogli le sarte»;
mi guarda poi con torvo ciglio e parte.
Gelo d'orror. (Dal fondo della scena cominciano a comparire le guardie di Didone)
                           (Quasi felice io sono.
Se parte Enea, manca un rivale al trono).
morrà Didone (e non vivrà Selene).
(Difenditi mio core, ecco il cimento).
di Citerea soave cura e mia,
la nascente Cartago alza la fronte.
son quegli archi, que' templi e quelle mura.
l'ornamento più grande Enea tu sei.
Tu non mi guardi e taci? In questa guisa
con un freddo silenzio Enea m'accoglie?
di me l'imago ha cancellata amore?
giuro a tutti gli dei, sempre è presente.
questo ancor giuro ai numi, il foco mio.
giuramenti da te; perché io ti creda
un tuo sguardo mi basta, un tuo sospiro.
(Troppo s'inoltra).
                                    (Ed io parlar non oso).
a me più non pensar.
                                         Che a te non pensi?
Io che per te sol vivo? Io che non godo
se un momento mi lasci?
                                               Oh dio! Che dici!
E qual tempo scegliesti? Ah! troppo, troppo
generosa tu sei per un ingrato.
Ingrato Enea! Perché? Dunque noiosa
ti sarà la mia fiamma.
                                          Anzi giammai
con maggior tenerezza io non t'amai.
Parte così, così mi lascia Enea?
Che vuol dir quel silenzio? In che son rea?
non so chi vincerà, gloria ed amore.
il cor d'Enea non penetrò Selene.
qui giunger dee l'ambasciator Arbace.
chiederà il re superbo e teme Enea
che tu ceda alla forza e a lui ti doni.
fugge il dolor di rimirarti...
                                                   Intendo.
dal cor d'Enea sgombra i sospetti e digli
che a lui non mi torrà se non la morte.
(A questo ancor tu mi condanni, o sorte!)
supplice o minaccioso, ei viene invano;
in faccia a lui pria che tramonti il sole,
ad Enea mi vedrà porger la mano.
                              Ecco s'appressa Arbace.
chiamami Arbace e non pensare al trono.
Per ora io non son Iarba e re non sono.
me suo fedele apportator destina.
tuo sostegno in un punto o tua ruina.
spoglie, gemme, tesori, uomini e fere,
che l'Affrica soggetta a lui produce,
pegni di sua grandezza in don t'invia,
nel dono impara il donator qual sia.
larga mercede il tuo signor riceve;
quel ch'ora è don può divenire omaggio.
(Come altiero è costui). Siedi e favella.
(Qual ti sembra, o signor?) (Piano a Iarba)
                                                    (Superba e bella). (Piano ad Araspe)
qual da Tiro venisti e qual ti trasse
disperato consiglio a questo lido.
alle barbare voglie, al genio avaro
ti fu l'Affrica sol schermo e riparo.
la superba Cartago, ampio terreno
dono del mio signore e fu...
                                                   Col dono
Lascia pria ch'io favelli e poi rispondi.
Iarba il mio re le nozze tue richiese,
tu ricusasti, ei ne soffrì l'oltraggio,
che al cener di Sicheo fede serbavi.
che dall'Asia distrutta Enea qui venne.
Sa che tu l'accogliesti e sa che l'ami;
un avanzo di Troia al re de' Mori.
Lascia pria che io finisca e poi rispondi.
Generoso il mio re di guerra invece
brama gli affetti tuoi; chiede il tuo letto;
vuol la testa d'Enea.
                                      Dicesti?
                                                        Ho detto.
libertade cercando e non catene.
e non già del tuo re Cartago è dono.
d'esser fida allo sposo allor pensai.
Or più quella non son...
                                            Se non sei quella...
Lascia pria ch'io risponda e poi favella.
Or più quella non son; variano i saggi
a seconda de' casi i lor pensieri;
Enea piace al mio cor, giova al mio trono
                                 Ma la sua testa...
Non è facil trionfo, anzi potrebbe
questo avanzo di Troia al re de' Mori.
Numidi e Garamanti Affrica serra.
Purché sia meco Enea, non mi confondo.
Garamanti, Numidi, Affrica e il mondo.
Pensa meglio, o Didone.
                                              Ho già pensato. (S’alzano)
Mi son scorta i tuoi passi.
                                                Arbace aspetta.
(Da me che bramerà?)
                                            Posso a mia voglia
                              Parla.
                                           Se vuoi,
m'offro agli sdegni tuoi compagno e guida.
Enea mi crede amico e pendon l'armi
tutte dal cenno mio. Molto potrei
a' tuoi disegni agevolar la strada.
della tiria regina, Osmida io sono.
e il mio core è maggior di mia fortuna.
L'offerta accetto e se fedel sarai,
tutto in mercé ciò che domandi avrai.
Sia del tuo re Didone, a me si ceda
di Cartago l'impero.
                                       Io tel prometto.
il tuo signor alla richiesta audace?
Promette il re, quando promette Arbace.
qui sospetto esser può; serba i consigli
a più sicuro loco e più nascoso.
Fidati. Osmida è re, se Iarba è sposo.
Non merta fé chi non la serba altrui.
ogni indugio è tormento al mio furore;
un tuo colpo assicuri. Enea s'uccida.
in aperta tenzone arbitro il fato.
l'onor tuo, l'odio mio, la mia vendetta.
Improvviso l'assali, usa la frode.
Da me frode! Signor, suddito io nacqui
ma non già traditor. Dimmi ch'io vada
nudo in mezzo agl'incendi, incontro all'armi,
signor della mia vita; in tua difesa
ma da me non si chiede un tradimento.
Sensi d'alma volgare. A me non manca
braccio del tuo più fido.
                                             E come, o dei,
                              Eh! Che virtù? Nel mondo
o è sol virtù quel che diletta e giova. (Parte)
il rimorso d'un fallo anche felice,
che produce virtù come non senti?
degli uomini ornamento e degli dei,
bella virtù, la scorta mia tu sei.
male interpetra Osmida i sensi miei.
che Dido fosse infida, o ch'io potessi
figurarmela infida un sol momento;
e doverla lasciar quest'è il tormento.
che ti sforza a partir, per pochi istanti
t'arresta almeno e di Nettuno al tempio
Sarà pena l'indugio.
                                       Odila e parti.
darò l'ultimo addio?
                                       (Taccio e non moro!)
quando parli così, non vuoi ch'io pianga?
Lascia di sospirar. Sola Didone
ha ragion di lagnarsi al partir mio.
Abbiam l'istesso cor Didone ed io.
che tutti i mali suoi son mali miei.
Generosa Selene, i tuoi sospiri
che scordo quasi il mio nel vostro affanno.
forse la tua pietà saria maggiore.
cercando Enea né ancor m'incontro in lui.
Forse quindi partì.
                                     Fosse costui? (Vedendo Enea)
Affricano alle vesti ei non mi sembra.
Quanto piace quel volto agli occhi miei. (Vedendo Selene)
Troppo bella Selene... (Dopo aver guardato Iarba)
                                          Olà non odi? (Ad Enea)
(Che superbo parlar). (Guardando Iarba)
                                           (Quanto è vezzosa!) (Come sopra)
O palesa il tuo nome o ch'io... (Ad Enea)
                                                        Qual dritto
hai tu di dimandarne? A te che giova?
Ragione è il piacer mio.
                                             Fra noi non s'usa
di rispondere a stolti. (Vuol partire)
                                          A questo acciaro... (Volendo cavar la spada, Selene lo ferma)
nella reggia di Dido un tanto ardire?
sì poco di rispetto?
                                     Il folle orgoglio
                              Sappialo; intanto
mi vegga ad onta sua troncar quel capo
dell'offeso mio re portarlo a' piedi.
Difficile sarà più che non credi.
Tu potrai contrastarlo? O quell'Enea
                                   Cedono assai
alle perdite sue le tue vittorie.
Son un che non ti teme e ciò ti basti.
Non partirò se pria...
                                        Da lui che brami?
senza tanto furor da me saprai.
Quell'Enea che tu cerchi appunto è questo.
che al mio braccio offeriva il ciel cortese.
Ma perché tanto sdegno? In che t'offese?
t'è noto e mi domandi in che m'offende?
che scelga a suo talento il caro oggetto
Nella scuola d'amor sei rozzo ancora. (Parte)
di celarmi così. Troppo finora
sofferenza mi costa.
                                      E che farai?
I miei guerrier, che nella selva ascosi
quindi non lungi al mio venir lasciai,
distruggerò Cartago; e l'empio core
all'indegno rival trarrò...
                                              Signore, (Con fretta)
la regina s'invia. Sugli occhi tuoi
se tardi a riparar, porge la mano.
                                 E qual consiglio?
Il più pronto è il migliore. Io ti precedo;
io sarò tuo sostegno e tua difesa. (Parte)
                                  Come lo speri?
Dove forza non val, giunga l'inganno.
colla taccia comprar di traditore?
troppo ardito ti fe'. Più franco all'opre
e men pronto ai consigli io ti vorrei.
Chi son io ti rammenta e chi tu sei.
Dido saprà che abbandonar la vuoi?
e risparmia al suo cor questo tormento.
ma sarebbe il tacerlo un tradimento.
che al pianto suo tu cangerai pensiero.
far ch'io manchi alla patria, al genitore.
Quanto costa però questa vittoria.
(Ah pensa che tu sei...) (Piano a Iarba)
                                             (Sieguimi e taci). (Come sopra)
Così gli oltraggi miei... (Nel voler ferire Enea, trattenuto da Araspe gli cade il pugnale ed Araspe lo raccoglie)
                                            Fermati. (A Iarba)
                                                               Indegno. (Ad Araspe)
Che tenti anima rea? (Ad Araspe vedendogli il pugnale in mano)
                                          (Tutto è perduto).
Se più tarda d'Arbace era l'aita,
sotto colpo inumano oggi cadea.
Il traditor qual è, dove dimora?
Miralo, nella destra ha il ferro ancora. (Accenna Araspe)
Del mio signor la gloria e 'l dover mio.
                          Lo so ch'ei mi condanna;
ma il mio non fu delitto e non mi pento.
Tornerei mille volte a far l'istesso.
in te tanta virtude io non credea.
Lascia che a questo sen...
                                               Scostati Enea.
Sappi che il viver tuo d'Araspe è dono,
che il tuo sangue vogl'io, che Iarba io sono.
non chiude in seno; un mentitor tu sei.
avvicinarsi ardisca o ch'io lo sveno.
finch'io genti raccolga, a me ti fida).
(E così vil sarò?) (Piano ad Osmida)
                                  Fermate amici,
a me tocca il punirlo.
                                        Il tuo valore
serba ad uopo miglior. Che più s'aspetta?
O si renda o svenato al piè mi cada.
(Serbati alla vendetta). (Piano a Iarba)
                                             Ecco la spada. (Getta la spada, che viene raccolta dalle guardie, e parte fra quelle)
tua cura sia. (Ad Osmida)
                          Su la mia fé riposa. (Parte appresso Iarba)
Per me serban gli dei sì bella vita.
forse della mia fede incerto stai?
son le sventure mie. Vuole il destino...
Vuol (mi sento morir) ch'io t'abbandoni.
M'abbandoni! Perché?
                                           Di Giove il cenno,
l'ombra del genitor, la patria, il cielo,
la promessa, il dover, l'onor, la fama
alle sponde d'Italia oggi mi chiama.
purtroppo degli dei mosse lo sdegno.
perfido mi celasti il tuo disegno?
                   Che pietà? Mendace il labbro
come lunge da me volgere il piede.
A chi, misera me! darò più fede?
io l'accolgo dal lido, io lo ristoro
dalle ingiurie del mar, le navi e l'armi
già disperse io gli rendo; e gli do loco
nel mio cor, nel mio regno e questo è poco.
ricusando l'amor, gli sdegni irrito.
A chi, misera me! darò più fede?
dolce memoria al mio pensier sarai.
se per voler de' numi io non dovessi
altra cura gli dei che il tuo destino.
che si renda spergiuro un infelice.
dell'impero del mondo a' figli tuoi.
cerca d'Italia il regno; all'onde, ai venti
confida pur la speme tua; ma senti;
delle vendette mie ministre il cielo.
d'aver creduto all'elemento insano,
richiamerai la tua Didone invano.
prendi l'ultimo addio.
                                          Lasciami ingrato.
non hai ragion di condannarmi.
                                                           Indegno.
premio della tua fede anima mia?
vada in cenere Troia un'altra volta.
gran genitor perdona, io n'ho rossore.
Non fu Enea che parlò; lo disse amore.
al proprio genitor spergiuro il figlio?
Padre, amor, gelosia, numi consiglio.
A me bella Selene il chiedi invano.
libero ed innocente in un momento
fra lacci il mio segnore, il passo muovo
a suo pro nella reggia e vel ritrovo.
Ah contro Enea v'è qualche frode ordita.
Difendi la sua vita.
                                     È mio nemico.
                                Così mi basta. (In atto di partire)
il piacer di mirarti agli occhi miei.
                 Tacer dovrei ch'io sono amante;
ma reo del mio delitto è il tuo sembiante.
il volto tuo, la tua virtù mi piace;
ma già pena il mio cor per altra face.
Quanto son sventurato!
                                            E più Selene.
narri almen le tue pene ed io l'ascolto.
tacer non posso e palesar non oso.
Sì, ma da me non aspettar mercede.
amarmi a questa legge, io tel concedo
ma non chieder di più.
                                             Di più non chiedo.
l'ultima che si perde è la speranza. (Parte)
de' Mori il re sotto il mentito Arbace.
Ma sia qual più gli piace, egli m'offese;
o suddito o sovrano, io vuo' che mora.
il più fedele esecutor vedrai.
E qual premio, o regina? Adopro invano
Occupa solo Enea tutto il tuo core.
Taci, non rammentar quel nome odiato.
è un'alma senza legge e senza fede.
Se lo torni a mirar ti placherai.
Ritornarlo a mirar? Per finch'io viva,
mai più non mi vedrà quell'alma rea.
che sospira il piacer di rimirarti.
Temerario! Che venga. Osmida parti. (Selene parte)
tutta del cor la libertà t'invola.
Non tormentarmi più, lasciami sola. (Osmida parte)
Come! Ancor non partisti? Adorna ancora
questi barbari lidi il grande Enea?
che già varcato il mar d'Italia in seno
popoli debellati e regi oppressi.
mal conviene al tuo cor, bella regina.
sollecito ne vengo. Io so che vuoi
                                     E questo è il foglio.
ch'io vendichi in tal guisa i torti miei.
Condannarlo per te! Troppo t'inganni.
che Dido a te pensò. Spenta è la face,
e del tuo nome or mi rammento appena.
Io non so qual ei sia, lo credo Arbace.
tutta contro di te l'Affrica irriti.
Tu provvedi a' tuoi regni, io penso al mio.
Senza di te finor leggi dettai,
sorger senza di te Cartago io vidi;
tu non giungevi, ingrato, a questi lidi.
donalo a me; grazia per lui ti chieggio.
il mio regno e me stessa al tuo gran merto.
ad eroe sì pietoso, a' giusti prieghi
di tanto intercessor nulla si nieghi. (Va al tavolino)
Inumano, tiranno! È forse questo
l'ultimo dì che rimirar mi dei.
sol d'Arbace mi parli e me non curi?
d'una lagrima sola umido il ciglio.
un segno di pietade in te non trovo.
Per tanti oltraggi ho da premiarti ancora?
Perché tu lo vuoi salvo, io vuo' che mora. (Soscrive)
ad onta del destin l'idolo mio,
rinnovar co' sospiri il tuo dolore.
qualche tenero affetto avesti mai,
placa il tuo sdegno e rasserena i rai.
che tuo cor, che tuo bene un dì chiamasti,
più della vita tua, più del tuo soglio,
                 Basta; vincesti; eccoti il foglio.
Vedi quanto t'adoro ancora, ingrato.
mi togli ogni difesa e mi disarmi
ed hai cor di tradirmi? E puoi lasciarmi?
Io sento vacillar la mia costanza
e mentre salvo altrui, perdo me stesso.
Che fa l'invitto Enea! Gli veggo ancora
del passato timore i segni in volto.
Chi ti diè libertà?
                                   Permette Osmida
che per dentro la reggia io mi raggiri.
per sicurezza tua, senza il mio brando.
                                Dimmi, che temi?
Ch'io fuggendo m'involi a queste mura?
Troppo vi resterò per tua sventura.
questa pietà. D'una regina amante
cerca sol d'irritar gli sdegni insani.
le offese vendicar gli eroi troiani.
Leggi. La regal donna in questo foglio
la tua morte segnò di propria mano.
Iarba estinto saria. Prendi ed impara,
come vendica Enea le proprie offese. (Lacera il foglio e parte)
Così strane venture io non intendo.
infedeltà nel mio seguace io trovo.
non sarà di timor Iarba capace.
ancor dubbioso in petto ondeggia il core.
all'impero servì d'un bel sembiante.
Ah una volta l'eroe vinca l'amante.
Allontanati Enea, son tuo nemico.
guerra con te, non amicizia io voglio.
guerra mi chiedi ed amistà non vuoi?
la gloria del mio re, non la tua vita.
quella che tolsi a lui giusta vendetta.
contro il suo difensor?
                                          Olà che tardi?
prendila pur se vuoi, contento io sono.
Ma ch'io debba a tuo danno armar la mano,
generoso guerrier, lo speri invano.
a ragion ti dirò codardo e vile.
vergognosa minaccia Enea non soffre.
Ecco per sodisfarti io snudo il ferro.
odan gli uomini tutti, odan gli dei.
io debbo la mia vita al suo valore;
e per non esser vil, mi rendo ingrato. (In atto di battersi)
Tanto ardir nella reggia? Olà fermate.
Così mi serbi fé? Così difendi,
Araspe traditor, d'Enea la vita?
non ha di tradimenti il cor capace.
esser fido non può.
                                     Bella Selene,
                                T'accheta e parti.
Allor che Araspe a provocar mi venne
le ragioni con me. La sua virtude
troppo quel core ingiustamente offendi.
Sia qual ei vuol Araspe, or non è tempo
di favellar di lui; brama Didone
dal suo real soggiorno io trassi il piede.
invan s'accrescerà la nostra pena.
cor mio, chi t'ama abbandonar potrai?
È Didone che parla e non son io.
non curar più di me, ritorna a lei.
che ceda al fato e rassereni il ciglio.
Ah no, cangia mio ben, cangia consiglio.
È Didone che parla e non Selene.
Vieni e l'ascolta. È l'unico conforto
ch'ella implora da te.
                                        D'un core amante
va cercando conforto e trova affanno.
Stolta! Per chi sospiro? Io senza speme
perdo la pace mia? Ma chi mi sforza
invano a sospirar? Scelgasi un core
più grato a' voti miei. Scelgasi un volto
degno d'amor. Scelgasi... Oh dio! La scelta
nostro arbitrio non è; non è bellezza,
che in noi risveglia amore, anzi talora
il men vago, il più stolto è che s'adora.
Bella ciascuno poi finge al pensiero
la fiamma sua ma poche volte è vero.
io più viver non voglio, è tempo omai
che per l'ultima volta Enea si tenti.
faccia la gelosia l'ultima prova.
i rimproveri tuoi vengo, o regina.
perfido, mancator, spergiuro, indegno;
chiamami come vuoi, sfoga il tuo sdegno.
No, sdegnata io non sono. Infido, ingrato,
perfido, mancator più non ti chiamo;
rammentarti non bramo i nostri ardori;
da te chiedo consiglio e non amori.
               (Che mai dirà!)
                                              Già vedi, Enea,
che fra nemici è il mio nascente impero.
le minacce e il furor; ma Iarba offeso,
quando priva sarò del tuo sostegno,
mi torrà per vendetta e vita e regno.
o al superbo affrican porger la mano.
L'uno e l'altro mi spiace e son confusa.
lungi dal patrio ciel, perdo il coraggio.
s'io risolver non so; tu mi consiglia.
trovar non si potria scampo migliore?
Se non sdegnava Enea d'esser mio sposo,
dall'arabico seno al mar d'Atlante
in Cartago adorar la sua regnante.
rinnovar si potea... Ma che ragiono?
L'impossibil mi fingo e folle io sono.
Dimmi che far degg'io. Con alma forte,
come vuoi sceglierò Iarba o la morte.
Iarba o la morte! E consigliarti io deggio?
all'odiato rival vedere in braccio?
trovi nelle mie nozze, io le ricuso;
necessario è il morir. Stringi quel brando,
è pietà con Didone esser crudele.
cada sopra di me del ciel lo sdegno.
per accrescer tuoi giorni, i giorni miei.
Dunque a Iarba mi dono. Olà. (Esce un paggio)
                                                         Deh ferma.
                             Dunque mi svena.
Ah si ceda al destino. A Iarba stendi
la tua destra real; di pace priva
resti l'alma d'Enea, purché tu viva.
appagarti saprò. Iarba si chiami. (Il paggio parte)
                               Regina, addio. (S’alzano)
(Resister non potrà).
                                        (Costanza, o core).
dall'ira tua, da tue minacce oppresso.
Non si cangia il mio cor, sempre è l'istesso.
il tuo sdegno, o signor. Tu col tacermi
a gran rischio esponesti il tuo decoro.
ascolta i sensi miei.
                                      Parla, t'ascolto. (Siedono Iarba e Didone)
Permettimi che ormai... (In atto di partire)
                                               Fermati e siedi.
Troppo lunghe non fian le tue dimore.
(Resister non potrà).
                                        (Costanza, o core).
Iarba soggiorna, ha da partir costui.
invece d'un rival trovi un amico.
meco parlò; per suo consiglio io t'amo.
il labbro mio, dillo tu stesso. (Ad Enea)
                                                      È vero.
altro merto non v'è che un suo consiglio?
quel regio ardir che ti conosco in volto.
sprezzator de' perigli e della morte.
tua compagna e tua sposa...
                                                   Addio regina.
t'abbia ubbidito Enea.
                                           Non basta ancora.
(Comincia a vacillar).
                                         (Questo è tormento). (Torna a sedere)
conosci il tuo dover. Ma pure io voglio
tutti alla tua beltà.
                                   (Che pena, o dei!)
dammi dunque la destra.
                                                Io son contenta.
A più gradito laccio amor pietoso
Più soffrir non si può. (S’alza agitato)
                                           Qual ira Enea?
quanto finor soffrì la mia costanza?
                 Che tacer? Tacqui abbastanza.
tutto faccio per te, che più vorresti?
Ch'io ti vedessi ancor fra le sue braccia?
Dimmi che mi vuoi morto e non ch'io taccia.
sai che per ubbidirti...
                                           Intendo, intendo;
io sono il traditor, son io l'ingrato;
che per me perderebbe e vita e soglio;
ma tanta fedeltà veder non voglio. (Parte)
              Lascia che parta. (S’alza)
                                               I suoi trasporti
                                   Di che paventi?
di vendicarti poi la cura sia.
                 Più non cercar.
                                               Saperlo io bramo.
Giacché vuoi, tel dirò. Perché non t'amo.
Perché mai non piacesti agli occhi miei,
perché odioso mi sei, perché mi piace
più che Iarba fedele Enea fallace.
un oggetto di riso agli occhi tuoi?
So che un barbaro sei né mi spaventi.
trova pace il mio core. Iarba non temo,
mi piace Enea sdegnato ed amo in lui
come effetti d'amor gli sdegni sui.
che foste amanti un dì, come son io,
ed abbia il vostro cor pietà del mio.
Compagni invitti, a tollerare avvezzi
e del cielo e del mar gl'insulti e l'ire,
è tempo già di rispiegar le vele.
fremono pur venti e procelle intorno;
e dolce fia di rammentargli un giorno. (Nell’atto che Enea sta per salir su la nave, esce Iarba)
quest'eroe fuggitivo i legni e l'armi?
o da me col fuggir cerca lo scampo?
Vieni s'hai cor, meco a pugnar ti sfido.
che ad abbassar quel temerario orgoglio
altri che il mio valor meco non voglio,
la tua morte sarà poca vendetta.
non fai poco se pensi. All'armi.
                                                         All'armi. (Mentre si battono e Iarba va cedendo, i suoi mori vengono in aiuto di lui ed assalgono Enea)
                                  Non temo, indegno. (I compagni d’Enea scendono in aiuto di lui ed attaccano i mori. Enea e Iarba combattendo entrano. Siegue zuffa fra i troiani e i mori. I mori fuggono e gli altri gli sieguono. Escono di nuovo combattendo Enea e Iarba che cade)
Già cadesti e sei vinto. Or tu mi cedi
                                      Invan lo chiedi.
                                        Siegui il tuo fato.
Sì, mori. Ma che fo? No, vivi; invano
tenti il mio cor con quell'insano orgoglio.
No; la vittoria mia macchiar non voglio. (Parte)
Son vinto sì ma non oppresso; almeno
oggetto all'ire tue sorte incostante
lo stuol de' mori a queste mura è giunto.
della grandezza mia; d'essere infido
no, non sento rossor; così punisco
l'ingiustizia di lei che mai non diede
alla reggia, alla reggia. (Passa avanti Osmida senza vederlo)
                                           Odi. Signore,
le tue schiere son pronte; è tempo alfine
che vendichi i tuoi torti.
                                              Amici, andiamo; (Senza dar occhio ad Osmida)
non soffre indugio il mio furor. (In atto di partire)
                                                           T'arresta.
l'amor tuo vendicato una mercede.
la tua mercede alla vendetta mia.
                                       Olà, costui
si disarmi, s'annodi e poi s'uccida. (In atto di partire)
Quest'è il premio dovuto a un traditore. (Parte seguito da’ suoi, a riserva di pochi che restano ad eseguire il comando)
Siam tutti alfin raccolti? Alcun non manca
de' dispersi compagni? E ben si tronchi
ogni dimora alfin; sereno è il cielo;
alle navi, alle navi, al mare, al mare.
                         Che avvenne!
                                                    In questo stato
Iarba il barbaro re...
                                       Comprendo. Amici
si ponga Osmida in libertà. L'indegno (I troiani vanno a sciogliere Osmida)
da chi men può sperarlo abbia soccorso
ed apprenda virtù dal suo rimorso.
che grato a sì gran don...
                                              Sorgi; ed altrove
ad esser fido un'altra volta impara.
Principessa ove corri?
                                          A te. M'ascolta.
rammentarmi l'amor t'adopri invano.
                                        Al partir mio
La mia presenza i suoi nemici irrita.
stenda a Iarba la mano e si consoli. (In atto di partire)
non sol Didone, ancor Selene uccidi.
               Dal dì ch'io vidi il tuo sembiante,
ma vicina a morir chiedo mercede.
almeno di pietà. Mercé...
                                               Selene,
non mi parlar né degli affetti altrui.
Non più amante qual fui, guerriero io sono.
chi trattien le mie glorie è mio nemico.
togliere alla mia fede ogni speranza
esser vanto potria di tua costanza;
che sfoghi i suoi tormenti un core amante,
ah! sei barbaro Enea, non sei costante.
                                  Che rechi amico?
d'Enea, di te nemico e del tuo amore.
m'offersi a Iarba; ei m'accettò; si valse
finor di me; poi per mercé volea
l'empio svenarmi e mi difese Enea.
Reo di tanto delitto hai fronte ancora
                                       Sì mia regina. (S’inginocchia)
che non spera il perdono e nol desia;
chiedo a te per pietà la pena mia.
Misera me! Sotto qual astro io nacqui?
Manca ne' miei più fidi...
                                                Oh dio, germana!
                           Partì?
                                         No, ma fra poco
le vele scioglierà da' nostri lidi.
sollecito condurre i suoi seguaci.
Che infedeltà! Che sconoscenza! Oh dei!
Un mendico stranier... Ditemi voi
se più barbaro cor vedeste mai?
partir lo vedi ed arrestar nol sai?
che resti Enea per un momento solo.
                                 Ad ubbidirti io volo. (Parte)
                                        Lo so purtroppo.
deggio chiedere aita a chi m'inganna.
Non hai fuor che in te stessa altra speranza;
chi sa? Forse potrai vincer quel core.
Dido scender dovrà? Dido che seppe
correr dell'onde a cimentar lo sdegno,
altro clima cercando ed altro regno.
che di nuove cittadi Affrica ornai,
fra l'insidie, fra l'armi e fra i perigli;
ed a tanta viltà tu mi consigli?
amore e maestà non vanno insieme.
Araspe in queste soglie?
                                              A te ne vengo (Si comincia a veder fiamme in lontananza sugli edifizi di Cartagine)
pietoso del tuo rischio. Il re sdegnato
di Cartagine i tetti arde e ruina.
le fiamme che lontane agita il vento.
un sol giorno ti toglie e vita e regno.
per rendermi infelice?
                                           Infausto giorno!
che ottenesti da Enea?
                                           Partì. Lontano
è già da queste sponde; io giunsi appena
a ravvisar le fuggitive antenne.
complice di sua fuga. Al primo istante
arrestar lo dovea. Ritorna, Osmida,
corri, vola sul lido, aduna insieme
Lacera i lini suoi, sommergi i legni.
e se vivo non puoi, portalo estinto.
Tu pensi a vendicarti e cresce intanto
                                     È ver, corriamo.
Io mi confondo... E non partisti ancora?
Eseguisco i tuoi cenni. (Parte)
                                            Al tuo periglio
Non fo poco se vivo in tanto affanno.
provvedi, ordina, assisti in vece mia.
Non lasciarmi se m'ami in abbandono.
Ah che di te più sconsolata io sono. (Parte)
E tu qui resti ancor? Non ti spaventa
non conosco timor. Ne' petti umani
nascono in compagnia, muoiono insieme.
Il tuo scampo desio. Vederti esposta
Araspe per pietà lasciami in pace. (Parte Araspe)
favolose memorie un dì saranno.
soggetti miserabili e dolenti
alle tragiche scene i miei tormenti.
                                      Invano, oh dio!
tentai passar dal tuo soggiorno al lido.
il minaccioso stuol Cartago inonda.
son le vergini esposte, aperti i tempi;
o l'immatura o la cadente etade.
passan le fiamme alla tua reggia in seno
e di fumo e faville è il ciel ripieno.
per noi qualche soccorso.
                                               E come?
                                                                 E dove?
imparate da me come si more.
                   (Oh dei!)
                                       Dove così smarrita?
che al talamo reale ardon le tede.
delle vendette tue; sfoga il tuo sdegno,
or ch'ogn'altro sostegno il ciel mi fura.
Già ti difende Enea, tu sei sicura.
Mi volesti infelice? Eccomi sola,
senza Enea, senza amici e senza regno.
Debole mi volesti? Ecco Didone
ridotta alfine a lagrimar. Non basta?
Mi vuoi supplice ancor? Sì; de' miei mali
da Iarba per pietà la morte imploro.
                                        (Soccorso, o dei!)
sì barbaro non son qual tu mi credi.
Del tuo pianto ho pietà, meco ne vieni.
e mia sposa ti guido al letto, al trono.
d'un empio, d'un crudel, d'un traditore
non conosce dover, non cura onore!
no la disgrazia mia non giunse a tanto.
In sì misero stato insulti ancora?
s'accrescono le fiamme. In un momento
si distrugga Cartago e non vi resti
orma d'abitator che la calpesti. (Partono due guardie)
Or potrai con ragion dirmi tiranno.
Conserva con la tua la nostra vita.
ch'è la prima cagion de' mali miei,
l'aure vitali io respirar vorrei.
facciano almen gli dei le mie vendette.
rendano l'aure e l'onde a lui funeste.
Vada ramingo e solo e la sua sorte
che si riduca ad invidiar la mia.
Deh modera il tuo sdegno, anch'io l'adoro
e soffro il mio tormento.
                                              Adori Enea?
Sì, ma per tua cagion...
                                            Ah disleale,
tu rivale al mio amor?
                                          Se fui rivale
                                Dagli occhi miei t'invola,
(Misera donna, ove la guida il fato). (Parte)
Crescon le fiamme e tu fuggir non vuoi?
Mancano più nemici? Enea mi lascia;
Iarba m'insulta e mi tradisce Osmida.
Ma che feci empi numi! Io non macchiai
di vittime profane i vostri altari
feci l'are fumar per vostro scherno.
tutto il ciel contro me, tutto l'inferno?
Ah pensa a te, non irritar gli dei.
son chimere sognate o ingiusti sono.
(Gelo a tanta empietade e l'abbandono). (Parte. Cadono alcune fabbriche e si vedono crescer le fiamme nella reggia)
Ah che dissi infelice? A qual eccesso
Oh dio! Cresce l'orrore; ovunque io miro
mi vien la morte e lo spavento in faccia,
trema la reggia e di cader minaccia.
tutti cedeste alla mia sorte infida,
non v'è chi mi soccorra o chi m'uccida.
E v'è tanta viltà nel petto mio?
No no, si mora e l'infedele Enea
un augurio funesto al suo camino.
il cenere di lei la tomba mia. (Dicendo l’ultime parole, corre Didone a precipitarsi disperata e furiosa nelle ardenti ruine della reggia; e si perde fra i globi di fiamme, di faville e di fumo che si sollevano alla sua caduta. Nel tempo medesimo su l’ultimo orizonte comincia a gonfiarsi il mare e ad avanzarsi lentamente verso la reggia tutto adombrato al di sopra da dense nuvole e secondato dal tumulto di strepitosa sinfonia. Nell’avvicinarsi all’incendio a proporzione della maggior resistenza del fuoco, va crescendo la violenza dell’acque. Il furioso alternar dell’onde, il frangersi ed il biancheggiar di quelle nell’incontro delle opposte ruine, lo spesso fragor de’ tuoni, l’interrotto lume de’ lampi e quel continuo muggito marino, che suole accompagnar le tempeste, rappresentano l’ostinato contrasto dei due nemici elementi. Trionfando finalmente per tutto sul fuoco estinto le acque vincitrici, si rasserena improvvisamente il cielo, si dileguano le nubi, si cangia l’orrida in lieta sinfonia, e si vede la ricca e luminosa reggia di Nettuno. Nel mezzo di quella assiso nella sua lucida conca, tirata da mostri marini e circondata da festive schiere di nereidi, di sirene e di tritoni, comparisce il nume che appoggiato al gran tridente parla nel seguente tenore)
ritornar gli elementi, astri benigni
del ciel d'Iberia, in questo dì vedete,
non vi rechi stupor; di merto eguali
bella gara d'onor ci fa rivali.
fa spettacolo a voi, per qual cagione
a me, nume dell'acque, esser conteso?
Perché ceder dovrei? S'ei tuona in campo
dell'ira vostra esecutor fedele,
fedele ognora esecutore anch'io
le vostre leggi e ne riporto i voti.
parte alla gloria. Onde a ragion costrinsi
a fremer le procelle in mia difesa.

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